Il sogno di tornare indietro nel tempo, di recuperare ricordi propri o esperienze vissute da altri in epoche diverse, è ormai sfumato. Raggiungere il futuro è tecnologicamente plausibile, mentre il vero problema è tornare al passato.
La notizia giunge proprio nell’anno in cui Martin McFly, protagonista di ‘Ritorno al futuro’, celebre film degli anni ottanta, sarebbe dovuto arrivare ai giorni nostri con la sua macchina del tempo, per salvare il futuro e tornare a casa, nel 1985. È passato invece oltre un secolo da quando Herbert George Wells scrisse il celebre romanzo “La macchina del tempo” e quella che in origine non doveva essere altro che un pretesto per analizzare in modo critico la società vittoriana si è poi trasformata in una vera e propria ossessione, che ha segnato la ricerca scientifica negli anni successivi. Finora nessuno è riuscito a realizzarne una funzionante ma, stando a quanto sostengono diversi scienziati di fama mondiale, il traguardo potrebbe ormai essere vicino.
Uno studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, ha infatti provato sperimentalmente che la freccia del tempo punta solo verso il futuro. La ricerca è stata guidata da Claudio Conti, direttore dell’Istituto dei sistemi complessi del Consiglio nazionale delle ricerche (Isc-Cnr), in collaborazione con il Dipartimento di fisica della Sapienza e con l’Università dell’Aquila ed è finanziata dalla John Templeton Fundation.
“Uno dei problemi principali della fisica moderna è spiegare perché il tempo va solo in avanti, e non si può tornare indietro. La meccanica quantistica non fornisce nessuna indicazione sul perché i fenomeni naturali siano irreversibili” spiega Conti. “Consideriamo un pendolo messo a testa in giù: nella nostra esperienza quotidiana -continua lo scienziato- sappiamo che, dopo qualche istante, l’asta cadrà e non ritornerà più su”.
“Ciò non era mai stato verificato per un pendolo quantistico, cioè una particella come un fotone o un elettrone che si muove intorno al proprio nucleo: diciamo che si ha un pendolo inverso quando queste particelle decadono, cioè si scompongono in particelle differenti e, si dice in fisica, ‘vanno all’infinito’, in un certo senso, spariscono”.
Le fondamenta teoriche su cui è basata la ricerca sono state introdotte nel 1986 dal premio Nobel per la fisica, Roy Glauber. Il modello matematico prevede che i decadimenti degli ‘oscillatori inversi quantistici’ avvengano solo a determinate velocità. Allo stesso tempo, affinché la teoria sia verificata, occorre che questo tipo di trasformazioni siano irreversibili, il che significa che la particella, una volta decaduta, non si possa più riformare. Da qui l’assunto che non si può tornare indietro nel tempo.
“Nessuno prima d’ora aveva mai testato empiricamente questa teoria. Per simulare un oscillatore di Glauber, abbiamo fatto passare un raggio luminoso attraverso un liquido fototermico. Il liquido assorbe la luce e la defocalizza rendendola simile a un oscillatore quantistico invertito e rende più facile individuare la quantizzazione dei decadimenti. Avendo ottenuto questa prova sperimentale, possiamo affermare che la teoria è verificata, anche per quanto riguarda la freccia del tempo” aggiunge Conti. Il direttore dell’Isc-Cnr specifica che la ricerca “oltre al suo valore intrinseco, apre nuove prospettive per lo sviluppo di tecnologie di più immediata applicazione, ad esempio nel campo della fotonica, come nuovi tipi di laser per la medicina e microscopi ad altissima risoluzione”.
Dunque, si può archiviare la teoria del “paradosso del nonno”, descritta per la prima volta dallo scrittore francese di fantascienza, René Barjavel nel suo libro Il viaggiatore imprudente (Le voyageur imprudent, 1943), e molto utilizzata in letteratura e nel cinema per dimostrare che i viaggi nel tempo sono impossibili. Oggetto di studio di molti fisici che hanno voluto verificarne la fondatezza – se un uomo dovesse recarsi nel passato ed eliminare un suo antenato prima che questo possa concepire un figlio, comprometterebbe la propria esistenza – studiando i fotoni, i risultati hanno dimostrato che, come sempre, la natura tende a proteggere se stessa e, così, diventa impossibile cambiare ciò che è già accaduto.
La ricerca scientifica, invece, continua a dare sempre nuove speranze per il futuro. E’ molto importante, ha detto il celebre oncologo Umberto Veronesi in un’intervista pubblicata sul periodico L’Espresso: “Guardare al futuro pensandolo migliore del presente e desiderare il bene per sé stessi è un bisogno della nostra specie. Perché ci aiuta a superare i momenti difficili. Ed è importante anche quando si affrontano le malattie”. Noi valutiamo il nostro futuro ogni minuto, anche per il minuto successivo. E la speranza – dal greco ‘elpis’, che significa originariamente desiderio – come fosse quasi una necessità biologica, ci aiuta a mantenere alta la tendenza al bene. Un bene che, in ultimo, mesa da parte anche la ricerca scientifica, la società ha il dovere di tutelare.