Per quanto nella legge 23/2014 si chiarisca in maniera inequivocabile che le riforme fiscali devono garantire equità, trasparenza e crescita, è decisamente comprensibile il forte timore dei proprietari di immobili di fronte al rischio di una nuova stangata fiscale sul mattone.
Proprio il comparto della casa è stato quello sul quale è stato scaricato gran parte del peso della crisi e che ha subito, in termini di compravendita, prezzi e ricadute occupazionali, il contraccolpo più duro.
Gli indicatori della pressione fiscale, poi, non contribuiscono a gettare acqua sul fuoco, visto che la previsione di prelievo delle imposte rischia di non vedere flessioni nel breve termine, anzi: con il taglio dei trasferimenti dallo Stato agli enti locali, il peso delle tasse dei comuni rischia di rendere ancor più gravosa la situazione.
Va inoltre premesso un ulteriore dato di fatto, che delinea ancora di più il quadro economico che interessa case e proprietari. L’Imu, nel 2014, ha portato nelle casse dello Stato un miliardo di euro in più rispetto al primo anno di applicazione della medesima imposta. Questo dopo che è stato chiesto a più riprese la revisione della tassa, dopo che per mesi il governo ha portato avanti un balletto di nomi più che di contenuti, e dopo che si è cercata una formula per far pagare di meno il mattone. Con scarsi risultati, evidentemente.
Per tutti questi motivi, le associazioni dei proprietari di immobili guardano con molta attenzione al come si vorrà applicare la riforma del Catasto.
Introdotta proprio con la legge 23/2014, viene avviata la “revisione della disciplina relativa al sistema estimativo del catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale, attribuendo a ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e la rendita”.
Mancano ancora i decreti attuativi, però, che da marzo dello scorso anno, tra polemiche e battute di arresto, sono nel pacchetto di decreti allo studio del Cdm.
La riforma aggiorna così il sistema istituito con Regio Decreto nel 1931, e rideterminerà le definizioni delle destinazioni d’uso distinguendole in ordinarie e speciali. Verrà tenuto conto delle diverse utilizzazioni degli immobili e andrà ad utilizzare come “unità di consistenza”, per stimare le ordinarie, il metro quadrato pensionando dunque la voce ‘numero di vani’. Sempre per gli immobili ordinari si utilizzeranno funzioni statistiche in grado di esprimere la relazione tra il valore di mercato, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale anche all’interno di uno stesso comune.
Per le unità immobiliari a destinazione speciale, invece, il processo estimativo sarà fatto su procedimenti di “stima diretta con l’applicazione di metodi standardizzati e di parametri di consistenza specifici per ciascuna destinazione catastale speciale” e, qualora non sia possibile fare riferimento diretto ai valori di mercato, verrà utilizzato “il criterio del costo, per gli immobili a carattere prevalentemente strumentale, o il criterio reddituale, per gli immobili per i quali la redditività costituisce l’aspetto prevalente”.
Il nodo delicato legato alla revisione catastale è quello della “invarianza di gettito”. Nella legge 23/2014 viene garantita quella delle “singole imposte il cui presupposto e la cui base imponibile sono influenzati dalle stime di valori patrimoniali e rendite” prevedendo ”la modifica delle relative aliquote impositive, delle eventuali deduzioni, detrazioni o franchigie, finalizzate ad evitare un aggravio del carico fiscale” con particolare riferimento proprio all’IMU. Nel testo viene prevista “la tutela dell’unico immobile non di lusso e tenendo conto, nel caso delle detrazioni relative all’IMU, delle condizioni socio-economiche e dell’ampiezza e della composizione del nucleo familiare, come rappresentate nell’ISEE, anche alla luce dell’evoluzione cui sarà soggetto il sistema tributario locale fino alla piena attuazione della revisione”.
Il rischio di stangata si annida proprio in questa voce: si parla di invarianza teorica di gettito totale per lo Stato, non di prelievo a carico del contribuente. In questo modo resta il totale da raggiungere, ma non il come raggiungerlo. Soprattutto, l’invarianza è legata alle imposte statali, e non a quelle locali che, nelle more dei comuni, hanno la possibilità di aumentare le aliquote sugli immobili per far quadrare i bilanci, alleggeriti anche dei contributi statali.
“Serve chiarezza – ha spiegato intervenendo ai lavori del convegno Gabriella Alemanno, vicedirettore di Agenzia delle Entrate – perché il terrorismo psicologico non aiuta. Questa è una riforma epocale che deve essere portata avanti con tutte le realtà coinvolte e muovendoci all’interno del dettato espresso nella legge 23 che richiede un fisco più equo e trasparente”.
“La revisione operata – ha aggiunto – vuole attribuire il corretto valore patrimoniale e di rendita degli immobili, un argomento sul quale Agenzia sta lavorando con determinazione in quanto diventa la base imponibile di riferimento”.
Parla di “occasione storica” anche Guido Castelli, delegato nazionale Anci per la finanza locale.
“Reimpostando secondo logiche di equità l’impianto catastale dei 63 milioni di immobili presenti sul suolo italiano sarà possibile riqualificare il prelievo fiscale”. Nel rispetto però dell’invarianza di gettito “che rappresenta un cardine della riforma”. In questo senso “si impone in ogni caso un profondo ripensamento dei livelli di tassazione a carico degli immobili; immobili su cui, dal 2011, si e’ scaricato il costo maggiore della crisi della finanza pubblica italiana”.
“Siamo preoccupati dalla tassazione che può ricadere sui proprietari” ha dichiarato il Presidente nazionale dell’UPPI Gabriele Bruyère. “Troppo spesso – ha spiegato – il proprietario di casa viene considerato un ricco. Non è così. Eppure sono gli unici tassati al 100%”.
Anche per il presidente di Federproprietà, Massimo Anderson, il rischio di stangata si annida nel fatto che l’invarianza di gettito “sarà realizzata a livello nazionale, ma non trova corrispondenza negli enti locali”.
“Nella sostanza – aggiunge – Renzi afferma che non si pagheranno altre tasse. È una tesi menzognera. Quando parliamo di casa parliamo di beni acquistati per lo più da persone che hanno risparmiato per anni e che oggi, tra tasse dirette e indirette, i proprietari hanno pagato 49 miliardi di euro nel 2014, il 30% in più rispetto a quanto versato nel 2010. Questo ha causato una pesante contrazione del mercato, una svalutazione pesante degli immobili e contribuito a bloccare il Paese”.
Parla di “sfida difficile” il vice presidente del Consiglio Nazionale dei Geometri e Geometri Laureati, Antonio Benvenuti, però “se viene affrontata in maniera coesa da tutti i soggetti coinvolti possiamo vincerla”.
“Le preoccupazioni sono legittime – ha aggiunto – ma quando si trasformano in terrorismo psicologico non si risolve nulla. Innanzitutto bisogna creare un archivio degli immobili che sia moderno e funzionale alle esigenze del nuovo catasto. Dopo, e solo allora, si potrà affrontare il problema dell’invarianza di gettito. Certo non si può risolvere una questione politica con uno strumento tecnico come quello messo in piedi con la legge 23”.
La palla, dunque, torna alla politica. E sebbene tanto dalla Camera quanto dal Senato si dia disponibilità a valutare una soluzione sulla invarianza di gettito che permetta di mantenere in equilibrio tassazione nazionale e locale, resta al momento chiaro un dato: le imposte colpiscono laddove esistono certezze. Al momento, in un Paese dove storicamente il mattone ha rappresentato uno degli investimenti primari per la salvaguardia del patrimonio, la casa rimane il principale oggetto di imposta.
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