Alce Nero presto Santo. Per i cattolici (e i cristiani in generale) si tratta di un altro passo avanti verso la riconciliazione con i primi americani, troppo a lungo umiliati, spiritualmente lobotomizzati, annullati nella loro identità ancestrale e culturale. La notizia è rimbalzata dalla conferenza episcopale americana alle pagine dei giornali di tutto il mondo.
Secondo caso dopo la santa canadese Mohawk Caterina Tekachwita, ma mediaticamente ben più detonante per la notorietà e la veste spirituale del personaggio: sciamano pellerossa, dapprima raccontato e reso famoso da studiosi di cultura pellerossa e ben presto diventato icona di giovani sessantottini animati da furore anti colonialista e anti americano. Tutto questo si è prestato ad equivoci e distorsioni che hanno nuociuto alla vera identità di una figura controversa, ma preziosa ed autentica nella sua profonda indianità.
Per capirne meglio la straordinaria e fantasmagorica esperienza di vita, materiale e spirituale, si deve però attingere dalle fonti letterarie prima ancora che alle testimonianze dei suoi parenti più prossimi: i pronipoti viventi, divisi tra chi ne rivendica la fedeltà alla religione dei padri e chi ne ammette la conversione. Furono lo storico John G.Neihardt e Joseph Epes Brown, studioso di antropologia e simbologia indiana, a raccontare in due saggi, tradotti in tutto il mondo, la vita e la visione del mondo di alce nero e, con esse, le vicende e la profonda spiritualità dei Lakota-Sioux. In ‘’Alce Nero parla’’, titolo della traduzione italiana di ‘’Black Elk speaks’’(Adelphi edizioni) il protagonista narra in prima persona la sua vita avventurosa, dalla sua prima infanzia fino all’orrendo massacro di Wounded Knee, la strage perpetrata dal settimo cavalleria ai danni della gente di Big Foot, piede grosso, da cui Alce Nero riuscì a scampare miracolosamente ne ‘’La Sacra Pipa”(titolo originale ‘’The Sacred Pipe’’), edizioni Borla, Epes Brown raccoglie la testimonianza di Alce Nero sulla mistica, la simbologia e la spiritualità dei Lakota Sioux. A tutt’oggi il libro resta il documento più dettagliato e accurato sulla religiosità degli indiani delle praterie. Anche qui, però, si può cogliere qualche inesattezza. A cominciare dalla traduzione del nome Black Elk, sbrigativamente interpretato come Alce Nero, mentre ‘’Elk’’, il wapiti americano, andrebbe tradotto più propriamente in cervo nero. Errore semantico irrilevante, dirà qualcuno ,ma ogni animale era ed è un simbolo che cela altri significati per gli indiani d’America. Nessun cenno, poi, alla sua conversione al cattolicesimo, come era avvenuto prima per Nuvola Rossa e Capo Giuseppe, solo per citarne alcuni. Il che genera qualche domanda. Conversione di comodo, oppure censura operata per non offuscare la grandiosità epica della ‘’weltanschauung’’ degli indiani delle praterie? Vi sono altri dubbi e malintesi che continuano ad avvolgere, in una cortina di fumo, la figura di Alce o Cervo Nero. Il più irrisolto, tuttavia, è proprio quello relativo alla sua autentica e più intima fede.
Cattolico convertito e addirittura diacono, ad un certo punto della sua vita, oppure, sotto sotto, ancora sciamano panmonoteista come era stato, in modo manifesto, negli anni prima della conversione?Attenzione, panmonoteista non è un ossimoro e neppure un gioco di parole. Ente supremo era sicuramente Wakan Tanka, il sacro mistero, per i Lakota Sioux, ma tutta la natura, tutto il mondo erano pervasi da spiriti guida e entità immateriali che solo gli uomini medicina, gli sciamani erano chiamati ad interpretare in modo corretto. Chi ha letto le sue testimonianze di vita e di spiritualità sa che questo era proprio il più grande cruccio di Alce Nero: non essere riuscito ad interpretare in modo salvifico per la sua gente le visioni che, ripetutamente, avevano accompagnato la sua vita e le sue esperienze di sciamano. La sua descrizione dei momenti salienti, della storia ultima e della religiosità,degli indiani delle praterie resta,tuttavia, il più suggestivo e grandioso affresco di un popolo coraggioso, valoroso, puro, perfino negli aspetti più crudi della sua presunta ‘’barbarie‘’, almeno per gli occhi, ipocriti ed interessati, dei conquistatori bianchi. come interpretare la sua apparente ambiguità religiosa? I fatti a noi noti ci dicono che alce nero non abbandonò mai completamente la sua tradizionale pratica religiosa, neppure dopo la sua conversione al cattolicesimo. Restò sempre fedele ai riti più antichi ed autentici della spiritualità lakota e fu addirittura uno strenuo difensore della cerimonia più sacra e più contestata della religiosità lakota: la danza del sole. Illegale per il governo federale, in odore di zolfo luciferino per i più zelanti missionari cristiani. Il rito è ben descritto nel film “un uomo chiamato cavallo”. Il guerriero doveva (e deve) danzare a terra, per alcuni giorni, intorno ad un albero alla cui cima è legato attraverso lunghe corregge di cuoio saldamente infisse, tramite fori praticati con gli artigli di un’aquila, ai suoi muscoli pettorali. Il tutto senza bere e senza mangiare, digiuno totale, per il bene di tutti, per aiutare, attraverso questo cruento sacrificio, le persone più deboli e i malati della propria comunità.
Ci sono voluti decenni per far comprendere ai vincitori bianchi che non c’era nulla di demoniaco in questa cerimonia,e la danza del sole, da alcuni anni, è nuovamente praticata, come chi scrive ha potuto personalmente constatare, tra i discendenti più tradizionalisti di Nuvola Rossa, Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Alce Nero era dunque un sincretista, come si è scritto in alcuni commenti alla notizia della sua beatificazione? Anche questa è una scorciatoia, una semplificazione grossolana. E’ più verosimile, invece,che Alce Nero non abbia praticato un improbabile ‘’patchwork’’ delle due religioni, ma abbia trovato coerente salvare l’essenza dell’una senza rinnegare l’altra e viceversa.
Alla fine degli anni ottanta, dopo decenni di incomprensioni e di diffidenze, si svolse a Rapid City, nel sud Dakota, un seminario di studi e di scambio di opinioni tra tradizionalisti lakota e religiosi cristiani, cattolici e protestanti. Lo scopo era quello di superare i contrasti e favorire il dialogo e la comprensione delle affinità tra le due forme di spiritualità e di religione. Ne scaturì un risultato sorprendente. Erano e sono molte le analogie tra simboli e credenze dell’una e dell’altra religiosità, a partire dalla ‘’changleska wakan’’,la croce inscritta in un cerchio della simbologia lakota e la croce cristiana, per finire alle figure della nostra Vergine Maria e della ‘’donna bisonte bianco’’ della religiosità lakota. Chi volesse inoltrarsi in questa ricerca può attingere al volume che fu pubblicato alla fine del seminario, dal titolo eloquente ‘’The Pipe and Christ’’(Tipi press, Chamberlain, south Dakota, 1989).
Non si deve dimenticare, a questo proposito, che tre anni prima si era svolta ad Assisi la suggestiva cerimonia interreligiosa voluta da Giovanni Paolo II e alla quale parteciparono guide spirituali delle nazioni indiane accolte con la stessa dignitàdegli esponenti delle grandi religioni della terra, buddisti, musulmani, ebrei. In tutte le religioni vanno colti i ‘’semina verbi’’, afferma infatti Giovanni Paolo II nella intervista rilasciata a Vittorio Messori e raccolta nel libro ‘’Varcare la soglia della speranza’’. Una rivoluzione, dopo decenni di conversioni forzate, capelli tagliati e punizioni corporali per i bambini indiani che frequentavano le scuole missionarie alla fine del secolo diciannovesimo e fino agli anni sessanta del secolo scorso. Prima di Giovanni Paolo II, però, i gesuiti avevano già capito che si può accogliere senza condannare, convertire senza cancellare.
Non bisogna fermarsi alla stupenda narrazione cinematografica di ‘’Mission’’ per apprezzarne l’anticipazione. I gesuiti hanno favorito questa tendenza in Cina, ad esempio, e si sono resi parte attiva nel riconoscimento della spiritualità intrinsenca degli indiani americani anche prima che al soglio pontificio salisse un loro sanguigno rappresentante. Venti anni fa, viaggiando tra le praterie del nord Dakota, fui folgorato da una visione sorprendente: un sacerdote (poi rivelatosi un gesuita) ed uno sciamano pellerossa stavano celebrando un matrimonio insieme. Il sacerdote aspergeva i due sposi con fumi di incenso, lo sciamano con una mistura odorosa di erbe curative, entrambi con il medesimo potere ‘’apotropaico’’. Sincretista, dunque, è parola riduttiva e fuorviante. Meglio sarebbe riferirsi ad una religiosità universale che accomuna uomini di fede diversa, uniti dall’essenza e dalla forza dei simboli che non appartengono ad un solo credo e ad un’unica chiesa.’’Dio non è cattolico’’, affermava il cardinale Martini, nel senso, cioè,che Dio è al di là e al di sopra di una rigida classificazione dottrinale. Questa è l’interpretazione più corretta per capire l’apparente ambiguità del nostro personaggio. Leggere la pagine di vita vissuta di Alce Nero aiuta a capire di più e meglio l’uomo e la guida spirituale. Un visionario prodigioso, nel senso migliore del termine, ma anche un personaggio umano. Soprattutto in ‘’Alce Nero parla’’ scopriamo, nella vita del giovane sciamano, curiosità inaspettate: le sue avventure in battaglia, la sua partecipazione agli spettacoli del ‘’wild west show’’ di Buffalo Bill, in America ed in Europa. Qui, nel vecchio continente, è commovente il racconto del suo incontro con la Regina Vittoria, intrigante, a Parigi, la storia della sua relazione con una giovane artista francese, bizzarra, in Italia, la descrizione di Napoli , ‘’cittàdove una montagna a forma di cono vomita fumo’’ e fa molta paura per il suo retaggio di morte e distruzione.
Santo Alce Nero dunque? Può darsi, ma prima di tutto un piccolo grande uomo da cui ognuno può apprendere una salutare lezione di umiltà.
Giorgio Salvatori
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Do il mio consenso affinché un cookie salvi i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy