Perdita di memoria e depressione due facce della stessa medaglia, ovvero Alzheimer e umore avrebbero un legame molto stretto. Non è nell’area del cervello associata alla memoria che va cercato il responsabile del morbo: all’origine della malattia ci sarebbe, invece, la morte dei neuroni nell’area collegata anche ai disturbi d’umore. A mettere a punto la scoperta, che promette di rivoluzionare l’approccio alla ‘malattia del secolo’, uno studio italiano, che ha ricevuto i complimenti del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che è stato pubblicato su ‘Nature Communications’ e i cui risultati dimostrano anche che la depressione sarebbe una ‘spia’ dell’Alzheimer, e non viceversa. Solo in Italia, la demenza da Alzheimer interessa oltre 600 mila persone, ma a causa dell’invecchiamento della popolazione questi numeri sono destinati a crescere (l’Italia è il Paese più longevo d’Europa con 13,5 milioni di ultrasessantenni, pari al 22% della popolazione). In tutto il mondo, invece, le persone affette da questa patologia degenerativa sono ben 47 milioni, con circa 10 milioni di nuovi casi anno (vale a dire un nuovo caso ogni 3,2 secondi), secondo le stime 2015 Adi, (Alzheimer’s Disease International). Ancora in Italia, il 18% delle persone colpite vive solo con badante, con un costo medio annuo pari a 70.587 euro, comprensivo della spesa a carico del Servizio Sanitario Nazionale, del quale una buona parte (73%) sostenuta in proprio (caregiver, mancati redditi da lavoro, ecc.). Complessivamente invece a livello nazionale, secondo uno studio Censis-l’Aima (Associazione italiana malattie di Alzheimer) che ha analizzato l’evoluzione negli ultimi sedici anni delle condizioni dei malati e delle loro famiglie, sono oltre 11 miliardi gli euro destinati alla spesa diretta e indiretta, pubblica e privata, per questo tipo di patologia. La nuovissima ricerca, associando perdita di memoria a depressione, getta ora una luce nuova su questa malattia altamente invalidante. Finora si riteneva infatti che fosse dovuta a una degenerazione delle cellule dell’ippocampo, area cerebrale da cui dipendono i meccanismi del ricordo. Lo studio che è stato condotto da Marcello D’Amelio, professore associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e del CNR di Roma, punta invece l’attenzione sull’area tegmentale ventrale, dove viene prodotta la dopamina, neurotrasmettitore collegato anche ai disturbi d’umore. Come in un effetto domino, la morte di neuroni deputati alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell’ippocampo, causandone il ‘tilt’ che genera la perdita dei ricordi. L’ipotesi è stata confermata in laboratorio, somministrando su modelli animali due diverse terapie mirate a ripristinare i livelli di dopamina. Si è così osservato che, in questo modo, si recuperava il ricordo, ma anche la motivazione. “L’area tegmentale ventrale – chiarisce D’Amelio – rilascia dopamina anche nell’area che controlla la gratificazione. Per cui, con la degenerazione dei neuroni dopaminergici, aumenta anche il rischio di perdita di iniziativa”. Questo spiega perché l’Alzheimer è accompagnato da un calo nell’interesse per le attività della vita, fino alla depressione. Tuttavia, sottolineano i ricercatori, i noti cambiamenti dell’umore associati all’Alzheimer, non sarebbero conseguenza della sua comparsa, ma un ‘campanello d’allarme’ dell’inizio della patologia. “Perdita di memoria e depressione – conclude D’Amelio – sono due facce della stessa medaglia”.
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