A settant’anni dalla fine della guerra e a settantadue dalla caduta del Fascismo, Rai, Mediaset, Sky e tutte le emittenti più o meno grandi, più o meno attrezzate, nella ricorrenza del 25 aprile, ci inondano di immagini prese dai bravissimi cineoperatori dell’allora Istituto Luce che immortalarono con dovizia di particolari la fine del regime di Mussolini e la conclusione della guerra.
Fasci littori abbattuti, teste bronzee del “crapun” schiacciate nelle presse delle fonderie, gagliardetti e bandiere bruciate, camicie nere e distintivi frettolosamente gettati alle ortiche e soprattutto tanti, tantissimi italiani festanti, impegnati a far dimenticare, in tutta fretta, una adesione fideistica e sostanzialmente acritica nei confronti di una dittatura pluriventennale, che andava archiviata al più presto per non avere problemi o grane con i nuovi vincitori.
Fin qui la storia, quella con la esse maiuscola. Poi arriva la cronaca, politica quanto si vuole, ma cronaca con la ci minuscola, dove un personaggio come il presidente della Camera Laura Boldrini, terza carica dello Stato, in un momento di impeto resistenzialista legato all’incontro con alcuni sopravvissuti a quei fatti, sollecita non l’abbattimento (come incautamente suggerito da un ex partigiano) della stele del Foro Italico ma la scritta di Mussolini Dux, che li vi troneggia a ricordo di chi, quel Foro (costruito da alcuni dei più grandi architetti del XX secolo e considerato unanimemente un capolavoro di architettura moderna), lo aveva realizzato.
Una simile sciocchezza, l’avevo già ascoltata ai funerali, svoltisi in Campidoglio, del collega Massimo Rendina, rispettabilissima figura di combattente e antifascista vero. Anche in quella circostanza, durante l’omelia di saluto, un ex partigiano nel suo intercalare dialettale che tradiva animosa e comprensibile faziosità, lamentava il fatto che ancora oggi “quell’obelisco e quel nome” stessero ancora lì, a ricordarci il nostro passato.
Al partigiano deluso ma ancora voglioso di vendette non più contro gli uomini ma contro le testimonianze storiche, risponde la signora Boldrini e chiede il testimone del sopravvissuto per passare la pratica agli scalpellini del Comune di Roma e cancellare l’ignominia di un passato appena salutato a Montecitorio da vecchi ma soprattutto nuovi partigiani sulle note di “Bella ciao”.
Premesso che il coro e la musica dell’Anpi nell’emiciclo di Montecitorio, al contrario della Boldrini, non la tollerarono né Pertini e né Nilde Iotti che pure la Resistenza l’avevano vissuta sulla propria pelle ma che comunque consideravano il Parlamento il tempio di tutti gli italiani, vincitori e vinti, vivi e morti. Grazie alla Costituzione quella sede doveva essere e restare la casa delle nuove come delle vecchie generazioni, tutti impegnati a combattere per far grande l’Italia in nome della democrazia e della libertà.
Dimentica di questa lezione ecco che la nostra “sciura” si scatena e inaugura un imbarazzante e stupido rituale, estraneo alle istituzioni. Un rituale con appendice antistorica che ovviamente le ha tirato addosso una marea di critiche a cominciare da quelle di alcuni autorevoli esponenti del suo stesso partito, il Pd.
Al presidente della Camera, isolata e tacitata da un muro di sarcasmo ed ironia una risposta serena va comunque data così come le vanno ricordate alcune cose fondamentali che evidentemente l’ebbrezza e l’arroganza del potere, non riescono più a farle cogliere.
Dobbiamo noi ricordare alla Boldrini che è stata messa alla guida della Camera sull’onda rabbiosa di una contestazione sociale e politica scatenatasi in uno dei momenti più critici della storia della Repubblica? Gli italiani, stanchi e delusi dalla partitocrazia, più di due anni fa, avevano chiesto non uno ma due passi indietro alla politica dell’inconcludenza, del malaffare, dell’opportunismo, della corruzione e del degrado morale e soprattutto, ai nostalgici del passato e della guerra civile che con il ritorno agli scalpellini di obelischi volevano deviare l’attenzione rispetto ai drammatici problemi della Nazione. E’ per questo che si cercò di puntare su nomi nuovi, persone fuori dai giochi senza retaggi culturali o scheletri negli armadi. Con l’elezione sua e del giudice Grasso al Senato, gli italiani speravano in un cambiamento vero e non in un maquillage con il quale continuare la stagione dell’ipocrisia e del pantano maleodorante del bipartitismo imperfetto che aveva procurato solo danni e perdita di d’immagine per l’Italia e gli italiani.
Ed in mancanza di cose concrete che unanimemente tutti continuano a chiedere, a cominciare dall’abolizione dei privilegi dei politici e della casta istituzionale, la neotalebana Boldrini, invece di fermare i ladri che dalla Camera escono con le buste piene di spesa pagati dai contribuenti mentre restano al palo i provvedimenti che tagliano prebende, privilegi e stipendi dei deputati, che fa? Attacca i giornalisti che gli fanno giustamente le bucce e promuove la crociata ridicola della guerra alle vestigia del ventennio nel momento in cui presa da un “delirium tremens” senza precedenti, liquida il barbaro assassinio di una dozzina di migranti cristiani gettati in acqua da altri disperati musulmani pronti a sbarcare sulle nostre coste, come una strage maturata in ”assenza di dibattito teologico”.
Ma come si sa la presidente, sul tema dei flussi migratori di clandestini ha le idee chiare. Micidiali ma chiare. L’importante per lei è che si aprano le porte a tutti, indiscriminatamente e senza regole, anche a quanti, non tanto in nome della sofferenza ma soprattutto del proprio credo religioso sono pronti a fare quello che i tagliagole dell’Isis fanno in Iraq, Siria e Libia, nell’indifferenza generale dell’Europa e del mondo.
Più che geniale, divina. Così dovremmo chiamare la presidente della Camera che, a questo punto, qualcuno farebbe bene a mettere sotto tutela invitandola intanto a non dire e non fare sciocchezze in nome di quel ruolo delicato che, diciamolo, indegnamente ricopre.