E’ una storia di mafie quella che ieri sera in diretta a ‘Non è l’arena’ su La7 ha dato vita ad un duro confronto tra il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e il magistrato Nino di Matteo.
La narrazione la inizia il magistrato che per anni si è occupato di importantissime indagini sull’organizzazione criminale Cosa nostra, le stragi, la trattativa Stato-mafia, ecc. Nel 2018, appena formato il governo giallo-verde (M5S-Lega) Di Matteo fu convocato e gli fu proposto un ruolo importante e di responsabilità nel dicastero guidato dall’avvocato grillino.
” Fui raggiunto da una telefonata del ministro Bonafede il quale mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, o in alternativa quello di direttore generale degli affari penali, io chiesi 48 ore di tempo. Avevo deciso di accettare, ma il ministro improvvisamente ci ripensò“, così racconta con una telefonata a sorpresa, per dare la sua versione di quanto successo nel 2018 quando venne nominato capo del Dap Francesco Basentini, ora dimesso. Il magistrato specifica che “non ho mai fatto trattative con nessun politico, né ho mai chiesto a nessun politico nulla”, ma che le “cose sono andate diversamente”. Racconta, appunto, della telefonata del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e sottolinea che nelle ore intercorse tra la proposta dell’esponente del Movimento 5 stelle e la sua decisione, “alcune note informazioni che il Gom della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura nazionale antimafia ma anche alla direzione del Dap, quindi penso fossero conosciute dal ministro, avevano descritto la reazione di importantissimi capimafia, legati anche a Giuseppe Graviano e ad altri stragisti all’indiscrezione che io potessi essere nominato a capo del Dap”. I capimafia, continua Di Matteo parlando con il conduttore Massimo Giletti “dicevano ‘se nominano Di Matteo è la fine’”. “Al di là delle loro valutazioni – continua il magistrato – 48 ore dopo andai a trovare il ministro, avevo deciso di accettare la nomina a capo del Dap, ma improvvisamente mi disse che ci aveva ripensato e che nel frattempo avevano pensato al dottor Basentini. Mi chiese di accettare il ruolo di direttore generale al ministero, ma gli dissi di non contare su di me”.
A questo punto interviene in trasmissione Alfonso Bonafede “esterrefatto nell’apprendere che viene data un’informazione che può essere grave per i cittadini, nella misura in cui si lascia trapelare un fatto sbagliato, cioè che la mia scelta di proporre a Di Matteo il ruolo importante all’interno del ministero sia stata una scelta rispetto alla quale sarei andato indietro perché avevo saputo di intercettazioni”. “Dobbiamo distinguere quelli che sono i fatti dalle percezioni“, replica il ministro.
Il ministro conferma di aver chiamato il magistrato proponendogli i due ruoli, “dicendogli che era mia intenzione far scegliere a lui, ma di venirmi comunque a trovare per decidere insieme”, e sottolinea che Di Matteo lo aveva messo al corrente delle intercettazioni nelle carceri. Ma “l’idea per cui io il giorno dopo in virtù di non so quale paura sopravvenuta avrei ritrattato una proposta, non sta né in cielo né in terra“. E poi conclude: “Quando è venuto al ministero gli dissi che tra i due ruoli sarebbe stato molto più importante il direttore degli affari penitenziari perché era un ruolo che vedevo più di frontiera nella lotta alla mafia e che era stato di Giovanni Falcone“.
In questi due anni gli italiani, e in particolare gli operatori del diritto, hanno sopportato da questo Ministro ogni genere di scempio in materia di diritto, ma l’alibi era sempre lo stesso: Buonafede sarà ignorante, ma almeno è l’interprete inflessibile del giustizialismo grillino. Oggi scopriamo che non è vero neppure questo: le parole di Di Matteo inchiodano il Guardasigilli in un ruolo simile a quello dei politici accusati della trattativa Stato-Mafia: per evitare rivolte e ricatti della mafia si accetta di non nominare un magistrato in un ruolo chiave del Ministero come quello di dirigere l’amministrazione penitenziaria.
Sul tema è intervenuto con chiarezza l’on. Andrea Del Mastro, responsabile Fdi del Dipartimento Giustizia: “Ormai e’ tutto chiaro. Prima le rivolte in carcere organizzate dalla criminalità organizzata, per stabilire il falso nesso di causalità tra carcere e contagio. Successivamente il provvedimento di Bonafede dei domiciliari per gli ultimi 18 mesi di pena che postula proprio il principio tra carcere e contagio. Poi Di Matteo e Ardita del Csm che sconsigliano l’assunzione di tale provvedimento perché sarebbe un cedimento alla mafia e perché comporterebbe un effetto domino di cui godrebbero i mafiosi per uscire dalle carceri. Poi la circolare del Dap e infine le scarcerazioni ignobili e quotidiane dei mafiosi. Ora scopriamo anche che Di Matteo venne rifiutato al Dap per viltà. Ci vuole altro per dimettersi e scomparire dalla faccia della terra? Bonafede, in un sussulto di dignità, dimettiti, non ti daremo tregua”.
Le opposizioni hanno chiesto le dimissioni del Guardasigilli: “Ai disastri si aggiungono ombre sul comportamento del guardasigilli. Fossi Alfonso Bonafede, domani mattina rassegnerei le mie dimissioni di ministro della Giustizia”, ha scritto la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni in un post su Facebook, in cui ha allegato anche un passaggio dell’intervista al magistrato andata in onda.
“Dopo le parole di Nino Di Matteo da Giletti a ‘Non è l’arena’, Alfonso Bonafede venga immediatamente in Parlamento. Le gravissime accuse del pm non possono cadere nel vuoto: o Di Matteo lascia la magistratura o Bonafede lascia il Ministero della Giustizia”, ha scritto su Twitter Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati.