Il ministro conferma di aver chiamato il magistrato proponendogli i due ruoli, “dicendogli che era mia intenzione far scegliere a lui, ma di venirmi comunque a trovare per decidere insieme”, e sottolinea che Di Matteo lo aveva messo al corrente delle intercettazioni nelle carceri. Ma “l’idea per cui io il giorno dopo in virtù di non so quale paura sopravvenuta avrei ritrattato una proposta, non sta né in cielo né in terra“. E poi conclude: “Quando è venuto al ministero gli dissi che tra i due ruoli sarebbe stato molto più importante il direttore degli affari penitenziari perché era un ruolo che vedevo più di frontiera nella lotta alla mafia e che era stato di Giovanni Falcone“.

“Io oggi non ho fatto interpretazioni ma ho raccontato dei fatti precisi e li confermo. Preciso che non si trattava di una sola intercettazione, ma in più sezioni di 41 bis c’erano state dichiarazioni fatte ostentatamente dai detenuti che, gridando da un piano all’altro, dissero che ‘se e arriva Di Matteo questo butta la chiave’. Mi pare che il ministro abbia confermato i fatti, io non do interpretazioni”. Con queste parole il magistrato Nino Di Matteo inchioda il ministro Bonafede in responsabilità così gravi da rendere non più rinviabili le sue dimissioni.