E’ il 1229, l’imbarcazione di Federico II di Svevia, in balia di una furiosa tempesta, trova rifugio nel porto megarese. Così la leggenda racconta. L’imperatore rimane affascinato dalla bellezza del paesaggio, dal color smeraldo del mare, dalla fertilità delle terre. Decide di fondare lì una città.
Due anni dopo, Centuripe e Montalbano vengono rase al suolo a causa della loro infedeltà. La rivolta guelfa è soffocata nel sangue, i cittadini superstiti vengono deportati in quel luogo che Federico II chiama Augusta, in onore del mondo romano che ammira profondamente.
La storia ha ribattezzato Federico II “ stupor mundi” per il carattere geniale, l’amore per la cultura, l’arte e la scienza. Non dimentichiamo che, grazie alla sua università fondata a Napoli, il nipote Tommaso d’Aquino, poté studiare Aristotele, altrove bandito, e diventare il più grande teologo della storia. Ma lo “stupor mundi” ad Augusta se lo sono dimenticato da tempo, a parte un ponte, nella città non c’è una strada, una piazza dedicata a lui, all’imperatore svevo.
Contestualmente alla fondazione della città, Federico II decide la costruzione del castello che pochi giorni fa è stato chiuso definitivamente al pubblico per rischio di crolli.
Federico era amante dei castelli, ne ha fatti costruire altri prediligendo la struttura castrale della fortificazione. Quello di Ursino a Catania e di Maniace a Siracusa concludono la triade federiciana di castelli costruiti sulla costa ionica della Sicilia. In comune hanno la struttura architettonica maestosa e l’ubicazione sul mare strategica dal punto di vista militare ed economico.
La passeggiata, che conduce al castello svevo di Augusta, creata 10 anni fa, oggi appare come l’ouverture di un canto funebre. Sembra un cimitero dimenticato da Dio e dagli uomini. I rovi ovunque, pure sulle scalinate che servivano per ammirare il paesaggio, spazzatura , lampade rotte, muri puntellati e lasciati lì. Il canto funebre di una memoria che muore.
Dal torrione più alto, nei secoli, sono state issate tante bandiere.
Quella imperiale di Federico II, quella angioina, quella aragonese, quella dei Borboni, infine quella dei Savoia.
A metà del XVI secolo il castello è stato testimone delle invasioni turche. In quegli anni nasce la devozione locale verso S. Domenico. La leggenda racconta che, nel 1594, il santo apparve in cielo mettendo definitivamente in fuga i turchi. In realtà, i domenicani, autorizzati a tenere le armi, combatterono fianco a fianco alla popolazione per scacciare l’invasore. Sicuramente la leggenda nasce dalla presenza di questi frati- soldato.
Dopo l’unità d’Italia, fino al 1978 il castello svevo diviene un carcere duro, per ergastolani. Il generale Dalla Chiesa lo fa chiudere dal momento che, a causa delle pessime condizioni carcerarie, le rivolte e lo spargimento di sangue sono all’ordine del giorno.
Ma la storia non finisce qui. Augusta assume importanza strategica durante le due grandi guerre. Base navale in Sicilia, la potente difesa antiaerea la trasforma in sentinella del mediterraneo. Cadono le bombe inglesi, americane, tedesche . Infine diviene uno dei porti di sbarco delle forze anglo-americane.
Pagine e pagine di storia di cui il castello svevo è stato testimone.
Nel 2010 il bastione S.Gallo crolla in mare. E’ l’inizio della fine.
Se un tempo l’imponente costruzione si affacciava su uno specchio di mare, ora è lambito da acque che emanano puzzo di fogne e di petrolio, non esiste un sistema di depurazione fognario.
Il degrado ambientale e il mancato rispetto per la natura è diventato dramma. La causa è legata alla presenza del più grande polo petrolchimico italiano nato negli anni ’50. Doveva portare sviluppo e occupazione, ma si è rivelato un inganno fatale.
Il castello svevo non crolla da solo, è l’emblema di una morte culturale e ambientale. Anche gli abitanti di Augusta muoiono, si calcola che quattro decessi su cinque siano causati da tumori, il tasso di disoccupazione è altissimo, la presenza delle mafie locali aggrava una situazione che sembra ormai insanabile.
Il castello ha deciso di gridare più forte. Come una sentinella che vigila su angolo di mondo che la storia gli ha affidato. Per la prima volta, dopo tanti secoli teme il baratro del non ritorno.
Alessandra Caneva