A proposito di sacchetti ‘bio’ e della legge, quella che dal 1 gennaio che li ha resi obbligatori nei reparti ortofrutta dei supermercati, e che contribuisce a contrastare l’inquinamento da plastica, permette di riconvertire vecchi impianti chimici, concorre a migliorare la raccolta differenziata dell’organico. Una “norma sacrosanta – dice il direttore generale di Legambiente, Stefano Ciafani – finita però nel tritacarne mediatico per alcuni errori imperdonabili commessi dal governo: i tempi e il fatto di prevedere sacchetti a pagamento, senza alternative”.
Dopo aver fatto chiarezza sulle bufale che circolano in queste ore sui sacchetti leggeri e ultraleggeri compostabili e biodegradabili, Ciafani sottolinea quali sono stati gli errori commessi.
Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti è intervenuto sulla questione facendo sapere che “stiamo verificando con il ministero della Salute la possibilità di consentire ai consumatori di usare sporte portate da casa in sostituzione dei sacchetti ultraleggeri” ma, ricorda Ciafani, “la legge è dello scorso luglio, avrebbero dovuto pensarci a partire da settembre e, a ottobre, dire quali sporte riutilizzabili è possibile usare, a partire dalle retine. Così, a novembre i supermercati si sarebbero potuti organizzare con la sportina riutilizzabile, distribuirla a dicembre nei punti vendita così che, dal 1 gennaio, i cittadini potessero optare per questa soluzione”.
La considerazione da cui partire è che se il costo dei sacchetti serve a disincentivarne l’uso, bisogna anche prevedere un’alternativa gratuita, come è successo con i sacchetti da asporto merci. E se per il ministro Galletti “il miglior rifiuto è sempre quello che non si produce”, per mettere a segno questo obiettivo bisogna prevedere il riutilizzo dei sacchetti, strumento che ha permesso all’Italia (che fino al 2011 è stato il maggior consumatore in Europa) di ridurre del 55% il consumo di quelli per asporto merci.
Invece, così come è scritta la legge, senza la circolare interpretativa dei ministeri, si attua di fatto un trasferimento ‘uno a uno’ che non disincentiva il consumo. Peccato, perché invece bisognerebbe ricordare che l’Italia, dopo decenni di ritardo, si è conquistata la leadership sul contrasto al marine litter (emergenza rifiuti in mare): dalla norma sui sacchetti del 2012 (art. 2, D.L. 2/2012), a quelle sui cotton-fioc (dal 2019 stop a quelli non biodegradabili) e sulle microplastiche nei cosmetici fino a questa sui sacchetti leggeri e ultraleggeri.
Occasione mancata? In parte, ma a tutto c’è rimedio, volendo. Perché se da una parte Legambiente assicura che sull’argomento farà la parte della goccia cinese con i ministeri competenti, dall’altra una circolare ministeriale congiunta che corregga la rotta potrebbe essere emanata in pochi giorni e senza temere le elezioni: possono occuparsene le strutture tecniche che, anche in attesa dei ministri del prossimo governo, portano avanti le attività ordinarie, come questa.
In attesa della circolare, però, ambiente e legalità hanno comunque tutto da guadagnare da questa legge che mette i bastoni tra le ruote a quelli che il direttore di Legambiente definisce “i narcotrafficanti del sacchetto falso“, perché interviene su quella fetta di mercato illegale che continua a persistere attraverso l’escamotage dei sacchetti destinati a frutta e verdura.
“In giro per l’Italia si continuano a produrre sacchetti per asporto merci in plastica, semplicemente aggiungendo la scritta ‘per uso interno’, come se fossero destinati all’utilizzo nei reparti dell’ortofrutta dei supermercati quando, in realtà, ce li ritroviamo nell’alimentari sotto casa, nel mercato rionale, in alcuni discount”, spiega Ciafani. Questa legge blocca di fatto questo mercato parallelo che continua ad essere significativo.
Basta pensare che dal 2012, con l’entrata in vigore del bando dei sacchetti di plastica per asporto merci, l’Italia ha ridotto il consumo degli shopper tradizionali del 55%. Il restante 45%, però, per metà resta illegale attraverso il trucchetto della dicitura ‘per uso interno’. Trucchetto che non potrà più essere utilizzato visto che la norma entrata in vigore il 1 gennaio bandisce la plastica tradizionale anche da quelli utilizzati nei reparti ‘interni dei supermercati.
Da dove arriveranno i nuovi sacchetti, è l’altra questione ‘calda’ di queste ore, su cui pesa l’accusa del monopolio. Oggi, i produttori di sacchetti possono comprare la bioplastica da 10 diverse aziende presenti sul mercato mondiale: possono scegliere l’italiana Novamont (per intenderci, quella la cui amministratrice sarebbe amica di un noto politico), o la tedesca Basf o le aziende chimiche statunitensi, cinesi, quella spagnola o quella indiana… e sono tutti prezzi in concorrenza.
Detto questo, però, “l’Italia vanta la prima azienda chimica al mondo ad essersi inventata questo prodotto, cosa di cui dovremmo andare fieri invece di gettare nel tritacarne mediatico una straordinaria manager come Catia Bastioli e un’azienda che è il fiore all’occhiello della chimica verde mondiale”, conclude Ciafani.
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