Si sarebbero dovute tenere in questi primi fine settimana di primavera le Giornate del Fondo Ambiente Italiano (FAI), un appuntamento che in 27 anni ha permesso ad 11 milioni di concittadini di visitare oltre 13.000 luoghi, molti dei quali normalmente inaccessibili, in più di 5000 città e borghi. Un patrimonio di bellezza e cultura che il FAI conserva e salvaguarda per offrirlo ad un pubblico sempre più ampio e interessato.
Purtroppo, anche in questo settore, le disposizioni volute dal Governo per contrastare la diffusione del Covid-19 non potevano che arrecare considerevoli perdite. Il presidente dal FAI, l’archeologo Andrea Carandini, intervistato questa mattina da Rai 1, le stima in circa 3 milioni e 700mila euro nel solo mese di marzo.
Ma è in realtà tutto il settore culturale e del turismo a soffrire gli effetti più devastanti di questa crisi. In un accalorato editoriale sul Corriere della Sera di fine marzo, Pierluigi Battista ha lanciato un’interessante proposta: istituire un “Fondo nazionale per la cultura, o Prestito nazionale per la Cultura, o Cultura Bond”. L’idea è quella di istituire un piano d’investimento, attraverso il quale i risparmiatori italiani possano contribuire a sostenere il patrimonio culturale italiano – inteso come teatri, musei, librerie, siti archeologici, orchestre etc. – per salvarlo da ciò che lo stesso Battista definisce “disastro, o addirittura morte certa”.
La proposta ha ricevuto un largo plauso ed è stata rilanciata da altri operatori culturali. Primo fra tutti Carlo Fuortes, sovrintendente al Teatro dell’Opera di Roma, preoccupato per “le crisi sistemiche” che potrebbero generarsi se le serrate degli spazi culturali dovessero prolungarsi ancora a lungo. A far però dubitare Fuortes dell’attuabilità della proposta di Battista è soprattutto “la debolezza del sistema culturale nei confronti del sistema creditizio”. Una certezza, a suo giudizio, che deriva innanzitutto dal carattere non profit del settore. Per questo ha rilanciato l’argomento proponendo che “ciascuna istituzione culturale pubblica o privata possa emettere delle Obbligazioni Culturali. Un «Art & Culture Bond», che preveda nell’arco temporale di scadenza, diciamo 3 o 5 anni, la restituzione del capitale sotto forma di biglietti o abbonamenti offerti dall’istituzione stessa”.
Successivamente è intervenuto nel dibattito lo stesso Carandini, che sottoscrivendo l’idea di Battista, ha presentato una propria ulteriore doppia proposta, volta a rianimare tutto il terzo settore, assicurando anche a queste imprese “le agevolazioni previste dai decreti governativi per la rinascita delle aziende italiane” e “distribuendo loro, subito, le quote del 5 per mille decise dagli italiani nel 2018”. Possibilmente anticipando a quest’anno anche quelle del 2019.
Sempre sulle pagine del Corriere sono intervenuti poi Andrea Cancellato e Umberto Croppi, presidente e consigliere di Federculture, l’associazione che rappresenta le più importanti aziende culturali del Paese, sottolineando come sia “la crisi di liquidità per far fronte a scadenze indilazionabili, che espone alla bancarotta centinaia di aziende (culturali), anche pubbliche”. Per questo, a loro giudizio va individuata “una formula intelligente, in cui i risparmiatori non donano, ma investono, e lo Stato si fa garante dell’investimento”. Tanto più, rilevano entrambi, che in questo periodo di crisi è stato proprio il settore culturale ad essere stato chiamato in campo per “rinsaldare il senso di comunità e offrire motivi di coesione e di ottimismo”, dato che è principalmente attraverso la cultura comune che è possibile sentirsi vicini pur nell’isolamento in cui siamo costretti.
In un secondo articolo Pierluigi Battista in risposta a qualche schermaglia sollevata dalla sua proposta ha tenuto a ricordare che “a rischio mortale non sono i «soliti noti», i «soliti intellettuali» come si legge da qualche parte, ma le centinaia di migliaia di persone” che lavorano in questo settore.
Elisa Rocca
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