Derivati: questi sconosciuti. Ma gli italiani cosa sanno di questo oggetto misterioso della finanza che rischia di penalizzare oltre che le casse dello Stato anche il portafogli di milioni di famiglie e risparmiatori?
Da quando Milena Gabanelli, nella puntata di Report del 26 aprile, ha affrontato il problema dei derivati con la consueta chiarezza e schiettezza, l’argomento sebbene ostico non ha smesso di suscitare interesse. Attraverso arditi paragoni con scarpe da ginnastica ed ombrelli Report aveva spiegato come, partendo da 160 miliardi di euro di debito attualizzati al 1994, l’Italia abbia potuto accumulare anno dopo anno una perdita potenziale di circa 42 miliardi.
Ma cosa sono davvero questi derivati? Si tratta di strumenti finanziari complessi che dai primi anni del duemila hanno finito con l’acquisire un’importanza enorme per l’economia globale e per quella italiana in particolare. I derivati sono titoli che appunto derivano il loro valore da altri prodotti finanziari reali a cui si legano nella determinazione degli interessi. Essi possono proteggere da eventuali rischi del mercato, ma possono arrivare anche a ricoprire una funzione meramente speculativa. E qui sta il problema. Ogni derivato infatti costituisce una sorta di scommessa sull’andamento futuro di un particolare indice di prezzo del mercato e, stando al rapporto del 31 dicembre del 2014, è saltato fuori che l’Italia ha accumulato attraverso i derivati debiti stimati per ben 42,6 miliardi nei confronti di 17 banche estere e due italiane (S. Paolo Invest e Unicredit). L’obiettivo, almeno quello dichiarato, era di mettersi in sicurezza. Attraverso i derivati infatti lo Stato tra il ’90 e il 2000 ha potuto offrire una sorta di assicurazione sul saldo del proprio debito, posticipandolo e pagando quindi, nell’immediato, meno interessi.
In questo modo però il Tesoro non ha fatto altro che operare una specie di scommessa sulla capacità di ripresa del sistema Italia e dei conti pubblici in relazione all’andamento del debito, assumendosi anche i rischi derivanti dalla forte, reale probabilità che invece il debito stesso potesse aumentare in maniera esponenziale. Cosa che in effetti si è verificata, mettendo nei guai il Tesoro e le pubbliche amministrazioni che avevano fatto ricorso a quel tipo di strumento finanziario.
Il problema quindi riguarda le clausole di estinzione anticipata, ovvero il momento in cui questi derivati dovranno essere chiusi, che rendono il rapporto più esposto a rischi che benefici. Così, quella che sul momento poteva sembrare una salvezza e quasi un affare, in realtà sulla lunga distanza si è rivelata una trappola che stringe in una morsa sempre più soffocante l’indebitato. Per incompetenza o malafede anche comuni e regioni sono incappati in questa morsa da cui la Puglia è riuscita a salvarsi per tempo ma in cui è caduta la regione Lombardia dopo il fallimento della Grecia.
Ironia della sorte a risolvere il problema sono state chiamate in causa proprio alcune delle stesse banche verso cui comuni e regioni si erano indebitati. Il servizio di Report non poteva che scatenare interesse e curiosità al punto che la responsabile del debito pubblico al Ministero del Tesoro, Maria Cannata, ora si trova a dover rendere conto di 15 anni di gestione di tali derivati, compreso il pagamento di 3,1 miliardi di penali già versati alla JP Morgan durante il governo Monti, operazione che aveva fatto partire un procedimento giudiziario gestito dalla procura di Trani. I problemi come i debiti sono tanti e i dubbi restano anche se il direttore generale del debito pubblico rassicura e si difende, spiegando che la perdita potenziale stimata si verificherebbe solo se i tassi si congelassero al livello di dicembre 2014. Ma poi lo stesso dirigente deve ammettere che comunque un costo di 3 miliardi circa di interessi e obblighi dovranno essere pagati ogni anno a fronte di 80 miliardi l’anno di titoli emessi.
Eppure calcolare i derivati non è facile, anche perché essi hanno un costo variabile annuo in base all’andamento dei tassi d’interesse ed è dunque sia difficile prevederne l’ammontare sia controllare che quanto richiesto dalle banche in termini di estinzione corrisponda a realtà. In ogni caso le garanzie per la copertura di questi derivati, naturalmente in termini di ricchezza reale, le dobbiamo noi cittadini, pagando le tasse.
Vania Amitrano
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