Continuano a pesare i crediti deteriorati ancora nelle casse delle banche. È questa la doccia fredda che arriva da Standard & Poor’s, che non solo afferma che le cifre inesigibili limiteranno “la politica di erogazione del credito delle banche” gravando così “sulle prospettive di ripresa” ma definisce ancora “superficiale” la crescita in Italia che, come già annunciato a settembre, vedrà il Pil crescere dello 0,7% nel 2015 e dell’1,2% nel biennio successivo.
Si tratta l’ennesimo sguardo scettico, quello della società di rating, verso il futuro delle aziende, in un panorama di rilievi sull’andamento della ripresa che per tante letture ottimistiche ne ottiene altrettante sicuramente più prudenti. Ciò che, in ogni caso, accomuna tutti i numeri è il rallentamento del percorso di inversione di tendenza economica iniziato.
Nell’Euro-Zone economic outlook, il report tendenziale dell’eurozona redatto da Ifo, Istat e Insee, si afferma che se “nel secondo trimestre del 2015 il prodotto interno lordo dell’Eurozona è cresciuto dello 0,4%, in linea con la precedente previsione”, nella seconda parte dell’anno il Pil “si espanderà a un ritmo moderato (+0,4 nel terzo trimestre e +0,5% nel quarto)”. La crescita, “sostenuta principalmente dalla domanda interna”, dovrebbe avere una accelerazione “all’1,6% nel 2015 dopo lo 0,9% dell’anno precedente”. Il miglioramento nel mercato del lavoro continuerà “ad alimentare la crescita nei consumi che in media d’anno aumenteranno dell’1,8%”.
Rimarranno invece moderati gli investimenti, “condizionati dall’andamento ancora negativo delle costruzioni in alcuni paesi”. “Nella media d’anno gli investimenti sono attesi crescere dell’1,7%. Assumendo un prezzo del petrolio a 48 dollari per barile e un cambio dell’euro a 1,12 contro il dollaro per i prossimi tre trimestri, l’inflazione è attesa aumentare moderatamente fino a raggiungere lo 0,5% in primo trimestre 2016”. In lenta risalita sopra lo zero anche l’inflazione. La crescita di quest’ultima “prossima all’1%, è imputabile principalmente ai servizi. Ipotizzando un tasso di cambio costante a 1,12 dollari per euro e il prezzo del barile di greggio fermo a 48 dollari, l’inflazione rimarrà su livelli prossimi allo zero (+0,2% in T4 2015 e +0,5% in T1 2016)”, risultando, quindi, nulla.
Non mancano i rischi, in ogni caso, e questi rispondono al nome di “Cina”. Per gli analisti, infatti, le prospettive di breve termine delle economie emergenti rappresentano il principale rischio al ribasso per l’Eurozona. Viceversa, un “rinnovato ottimismo degli imprenditori, dopo anni di contrazione nell’accumulazione di capitale, potrebbe sostenere gli investimenti più delle attese rappresentando quindi un rischio al rialzo per le previsioni”.
Anche per il Fondo Monetario Internazionale il rischio rallentamento è concreto. Nel suo World economic outlook, gli analisti spiegano che “i dati preliminari suggeriscono che la crescita globale nella prima metà del 2015 è del 2,9%, inferiore dello 0,3% rispetto ai dati dello scorso aprile. La crescita è stata inferiore alle previsioni sia per i mercati emergenti che per le economie avanzate”.
“Modesta e incerta” anche la ripresa nell’area euro, con un’inflazione bassa allo 0,2% ma che beneficerà nei prossimi mesi della politica monetaria impostata dalla Bce, del deprezzamento dell’euro e dai bassi costi del petrolio. Non scompaiono i rischi al ribasso per l’economia, “piu’ pronunciati di qualche mese fa” e con maggiori criticità nel medio termine per le economie avanzate, che potrebbe andare verso un ulteriore calo della crescita, bassa e già “vicino alla stagnazione”. Almeno fino ad oggi però la ripresa è stata “ampiamente in linea con le stime, con una crescita maggiore delle aspettativa in Italia e in particolar modo in Irlanda e Spagna”. Riviste al rialzo le stime deficit pil italiano: al 2,7% dal 3,0% del 2014, mentre dovrebbe arrivare al 2,0% nel 2016. Resta invece alto il tasso di disoccupazione nell’eurozona che, secondo le stime degli esperti, si attesta all’11% nel 2015 e al 10,5% il prossimo anno. Qui, l’Italia è sopra la media, con il 12,2% nel 2015 e l’11,9% nel 2016.
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