Con un nuovo incredibile strappo rispetto alle prerogative costituzionali che un Capo dello Stato, per primo è tenuto a rispettare, Napolitano ha imposto in queste ore un uomo di suo gradimento per il delicato incarico di ministro degli esteri del governo Renzi. Si tratta di Paolo Gentiloni già ministro in un governo Prodi nonchè presidente della commissione di vigilanza Rai. Sostituirà Federica Mogherini chiamata a guidare, per i prossimi cinque anni la politica estera e la diplomazia dell’Unione europea. Renzi da questa vicenda non esce bene cosi come non esce bene, ancora una volta, un Presidente della Repubblica che pretende di tenere sotto tutela un esecutivo che di tutele non ha bisogno, almeno per la legge, anche se non della politica.
Napolitano forzando competenze e prerogative del proprio ruolo ha dettato la linea in una vicenda delicata rilancia pesantemente un ruolo fatto di interferenze e condizionamenti sui quali partiti istituzioni e politica sembrano intenzionati a voler chiudere tutti e due gli occhi. Dunque passa una persona gradita al Quirinale e restano al palo altri nomi come la vicepresidente della Camera Marina Sereni, alla sua quarta legislatura e Lapo Pistelli (tutti e due del Pd) nonchè Elisabetta Belloni ambasciatrice “di area” governativa, attuale direttore generale della Farnesina.
Napolitano, al presidente del Consiglio orientato a proporre una terna di donne cui affiancare anche Pistelli, aveva detto chiaro e tondo che voleva “una figura esperta e autorevole”, un personaggio al di là e al di sopra di ogni ragionevole dubbio, che sapesse e potesse dare garanzie in termini di bravura affidabilità e competenza. Qualche maligno aveva ipotizzato che l’identikit di Napolitano volesse riportare nella mischia addirittuta D’Alema, l’ex presidente del Consiglio già rottamato dal nuovo corso Pd. Renzi temendo di dover affrontare un imbarazzante (per Napolitano) braccio di ferro che non avrebbe certo giovato al governo e a lui, alla fine, per evitare sosprese, ha acconsentito alla nomina di un uomo che da punto di vista politico non è proprio un Pd doc ma solo un leopoldiano della penultima ora, un sessantenne cattocomunista delle origini, passato dal Pdiup al Pci e alle sue evoluzioni pidiessine per poi tornare in un’area più moderata con Rutelli prima al Comune di Roma ed infine nell’area dei popolari Pd dopo una breve stagione all’Api sempre con l’ex sindaco di Roma. Una carriera non proprio travolgente ed una esperienza non certo blindata per un incarico delicato e di peso politico istituzionale notevole come la nomina a ministro degli esteri. Ma tant’è.
A questo punto per c’è da chiedersi perché Napolitano abbia preteso di bocciare le altre candidature rivendicando quella esperienza ed autorevolezza che per esempio, nel febbraio scorso, non presentava certo Federica Mogherini, una illustre sconosciuta per i più, donna che invece, alla fine, le qualità per quel ruolo le ha dimostrate tutte arrivando e facendosi accettare addirittura dai vertici della Ue. La verità purtroppo è un’altra: Napolitano da tempo, troppo tempo, fa e disfa, a suo piacimento le carte in un terreno, quello delle scelte dell’esecutivo, dal quale dovrebbe stare doverosamente lontano.
Inutile negare inoltre che il Capo dello Stato con i suoi sconfinamenti sta dimostrando di rimpiangere i governi Monti e Letta. Esecutivi che a Napolitano lasciavano ampi spazi di intervento contrariamente a quanto accade oggi con Renzi. Certo quanto accaduto per la nomina del ministro degli esteri dimostra però due cose: la prima è che le iniziative del Quirinale creano disagio, confusione e puntano ad indebolire politicamente Renzi il quale non può rivendicare quei margini di manovra e quell’autonomia che un premier dovrebbe avere per cambiare veramente le cose nel Paese. La seconda è che ci troviamo di fronte ad un presidente della Repubblica che governo Camere e partiti dovrebbero invitare, presto e con molta determinazione, a non travalicare i confini delle sue prerogative istituzionali.
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