Atlantia, il gioiello della famiglia Benetton, è un gigante mondiale, in termini di potere e di business. E’ la principale azienda nel settore delle infrastrutture autostradali e aeroportuali italiane con attività disseminate in undici paesi del mondo con 11.000 dipendenti impegnati a gestire 14.000 chilometri di strade a pagamento di cui 3000 solo in Italia. Un giro d’affari per miliardi l’anno, tutto cash. Tutto pronta cassa. Un affare planetario garantito negli anni da concessioni generosamente elargite da uno stato, quello italiano, che attraverso l’interessata assistenza della politica e dei partiti di sinistra in particolare (ma anche la stampa ha fatto la sua parte), più che al proprio interesse, ha guardato, benevolmente ricambiato, a quello della stramiliardaria famiglia di Treviso. Dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova, il 14 agosto del 2018 dove trovarono la morte 43 persone, tragedia che unì l’Italia, nella rabbia, nel cordoglio e nella disperazione, Atlantia e la famiglia Benetton sono finiti sul banco degli imputati. Le loro responsabilità nella mancata manutenzione del ponte della tragedia sono abbastanza accertate. Ora si tratta di capire come e quando risponderanno di questa negligenza assassina. I magistrati sono al lavoro ma si dovranno attendere anni per avere giustizia piena, prima per vittime e sfollati e poi per la stessa città di Genova profondamente colpita e umiliata da una tragedia che non meritava. Adesso però i riflettori sono puntati tutti sul ruolo della politica. Cosa faranno governo partiti e istituzioni di fronte alle responsabilità di una simile tragedia? I messaggi che arrivano dai palazzi del potere sono contraddittori, pericolosamente contraddittori. E a cominciare dalla revoca delle concessioni l’intesa è tutt’altro che raggiunta. A poche ore dal disastro il sottosegretario alla presidenza del consiglio, il pentastellato Luigi Di Maio preso dall’emozione denunciò senza mezzi termini: “ Il crollo si poteva evitare. E’ figlio di tutti i trattamenti privilegiati e delle marchette fatte ad Autostrade per l’Italia (oggi Atlantia) che incassa i pedaggi più alti d’Europa e paga tasse basse in Lussemburgo”. Ma soprattutto, avremmo aggiunto noi, che prende ma che non da nulla in termini di assistenza e manutenzioni. La sequela degli attacchi, in verità, era solo all’inizio e le accuse del governo presero sin da subito una piega istituzionale. Il ministro delle infrastrutture Toninelli, non perse occasione di appellare Atlantia come il malaffare della vecchia politica, “i ladroni del casello”, coloro che dovevano tenere elevati gli standard di manutenzione e la sicurezza della rete autostradale. Inevitabili all’epoca i contraccolpi sul mercato di queste considerazioni: il titolo della compagnia scese ben presto ai minimi storici. L’opinione pubblica e il governo scelsero di seguire la strada di un’etica politica e istituzionale chiara ed esplicita. Lo reclamavano la tragedia appena avvenuta e le aspettative di un’Italia traumatizzata dalla tragedia. Le concessioni autostradali non dovrebbero essere lasciate in mano a chi, irresponsabilmente, non interviene sulla sicurezza e l’efficienza dei servizi autostradali, mettendo così a repentaglio la vita delle persone e delle infrastrutture. Era e resta il pensiero dominante nel Paese. La sensazione che la politica italiana avesse voltato pagina e fosse andata finalmente nella direzione del cambiamento, era molto presente nelle coscienze della gente. Quel senso della Polis ovvero dell’unione di intenti e spirito tra uomini e Stato sembrava farsi strada senza tentennamenti. Una felice sintesi di azioni e comportamenti tenuti in nome dell’interesse pubblico che avrebbe fatto ricredere i detrattori più acerrimi del nostro Paese, quelli che ci indicano, da sempre come superficiali e incompetenti. A meno di un anno dal disastro di Genova, la doccia fredda è arrivata improvvisa e senza appello, spazzando via ogni barlume di ottimismo sul futuro della politica italiana. E’ notizia di queste ore che Atlantia è ufficialmente in pista per acquisire una quota della compagnia di bandiera Alitalia. Anzi l’accordo sarebbe già stato scritto. Il consiglio di amministrazione della holding dei Benetton, ha dato mandato all’amministratore delegato Giovanni Castellucci, plurindagato per i fatti di Genova di “approfondire la sostenibilità ed efficacia del piano industriale relativo ad Alitalia, inclusa la compagine azionaria e il team manageriale, e gli opportuni e necessari interventi per un duraturo ed efficace rilancio della stessa, riferendo che in una prossima riunione consiliare si faranno le opportune valutazioni ed eventuali connesse deliberazioni”. Ma come? Dopo tutto quello che si era detto e fatto per bloccare la crescita esponenziale drogata dalla politica di questa famiglia abbastanza disinvolta di imprenditori, ora gli si alza la palla per rimetterli in corsa per altri business. Allora Genova non ha insegnato nulla sulle capacità manageriali di Castellucci e compagni? Ma il governo ha forse dimenticato che quegli stessi manager sono stati già condannati ad anni di carcere per la morte di 23 persone in una strada della Lucania affidata proprio al gruppo veneto? Atlantia invitata ad entrare nella cordata che rileverà Alitalia suona come un ripensamento, una sconfessione del governo che pure sui Benetton era stato chiaro: mai più affidamenti e profonda revisione se non revoca per quelli tutt’ora in corso. Danilo Toninelli intervistato sulla vicenda, ha dichiarato “si tratta di una questione che sarà valutata nelle sedi opportune, ma che non può e non deve intrecciarsi con quella del ponte Morandi”. E, come se non bastasse, lo stesso ministro, ha anche risposto in Senato ad un’interrogazione relativa alla revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia: “il quadro normativo in cui agiamo è in conseguenza delle scelte dei governi precedenti. Vogliamo infatti tutelare al massimo l’interesse pubblico e scongiurare qualsiasi ricaduta sulle casse dello Stato, cioè sulle tasche dei cittadini, a differenza di quanto fatto dai nostri predecessori”. Parole ambigue e niente più. Risposta sibillina e furbesca che apre la strada a tanti ragionamenti e a qualche preoccupazione. Come può un ministro della Repubblica affermare con convinzione, un controsenso così lampante? Prima l’accanimento escludente e punitivo verso Atlantia, Poi l’entrata come partecipata nella compagnia di bandiera a futura compagine statale? Quale è il senso, quale è l’etica che conduce la politica verso situazioni che stentiamo a comprendere? Il rapporto fra etica e politica è sempre stato, fin dall’antichità, un rapporto difficile, di contrapposizione e di convergenza al tempo stesso. Ma mai come ora, assistiamo inermi e indifesi all’affermarsi delle logiche opportunistiche, spregiudicate e funamboliche del potere. Quasi che ci volessero convincere della necessità della politica di essere per sua stessa natura immorale. La verità è che il rapporto etica politica è molto più complesso di quanto si creda. Tanto che, non poche volte, nella storia, nel nome dell’etica, degli ideali di giustizia e perfino di libertà si sono commesse tragiche nefandezze, per costruire società perfette, che perfette, giuste ed equilibrate poi non lo erano affatto. Potremmo quindi dire, parafrasando Kant, che la politica senza etica è cieca e l’etica senza politica è vuota, e la sua attualità è, per così dire perenne. Ma certo questo triplo salto mortale senza rete tra politica ed etica è un qualcosa che l’attuale governo poteva e doveva evitare agli italiani e soprattutto alle famiglie delle vittime del ponte. Enzo Cirillo Barbara Ruggiero
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