Via libera del Senato al decreto sulla cessione – o affitto – ai privati dei complessi aziendali dell’Ilva. Il testo è stato licenziato con 157 voti favorevoli, 95 contrari, e 3 astenuti.
L’ok arriva al termine di giorni di blocco degli impianti, a seguito degli scioperi dei lavoratori, che hanno causato ulteriori contraccolpi alla società già in pesanti difficoltà da tempo.
”Lo sciopero e le manifestazioni organizzate dalla Fiom presso lo stabilimento Ilva di Genova negli ultimi tre giorni stanno generando danni reputazionali oltre che di fatturato per il gruppo” ha dichiarato il gruppo, aggiungendo anche che “la temporanea interruzione delle attività della fabbrica, oltre a compromettere la reputazione di Ilva, in particolare verso i clienti internazionali con cui negli ultimi mesi sono stati siglati importanti contratti di fornitura, sta causando perdite finanziarie stimate in circa 6 milioni di euro per le tre giornate di fermo della fabbrica”.
Perdite di fatturato che per l’Ilva, ad oggi corrispondono “all’ammontare delle risorse finanziarie necessarie per gli investimenti sulla linea 4 di zincatura del sito industriale di Genova, sui quali, alla luce dei fatti accaduti in queste ore, l’azienda valuterà come procedere”.
Il decreto approvato in Senato, chiarisce la dinamica dell’alienazione delle aziende, per le quali sino al 10 febbraio prossimo si possono avanzare offerte. A questa fase di manifestazione di interesse seguirà quella dell’approfondimento, cadenzando i tempi della cessione in un massimo di quattro anni.
La legge conferisce anche risorse al gruppo industriale, non a fondo perduto ma da restituire con gli interessi maturati: 300 milioni per governare la transizione e provvedere alla gestione ordinaria; 800 milioni per la bonifica ambientale. Questi verranno restituiti da chi sarà ritenuto reo, al termine del processo in essere a Taranto, del reato di disastro ambientale.
Slitta di quasi un anno, invece, il limite di rispetto al piano ambientale attualmente in vigore. Di base si è deciso di agire in questo senso poiché con ogni probabilità il nuovo proprietario presenterà un nuovo piano industriale e ambientale e questo richiederà necessariamente dei tempi di applicazione.
Con la legge, infine, tira un sospiro di sollievo l’indotto Ilva, stressato dalla crisi. Per accedere al Fondo di garanzia e quindi avere nuovo credito, le imprese dovranno solo dimostrare che per due anni, anche non consecutivi, dopo il 2010, l’Ilva ha costituito almeno il 50 per cento del loro fatturato.
Critici i sindacati. Secondo il segretario della Fiom, Maurizio Landini “nell’Ilva abbiamo buttato soldi pubblici mantenendola privata, questo e’ stato il disastro. In questi anni l’esproprio ai Riva poteva essere una soluzione”.
“Ora – ha aggiunto – senza un intervento pubblico, magari attraverso la Cassa depositi e prestiti, l’Ilva non la risaneremo mai, perche’ in Italia non c’e’ un solo imprenditore in grado di investire 4 miliardi su quella azienda. In Europa altri Stati sono gia’ intervenuti per mettere in sicurezza le acciaierie, perche’ non esiste una politica industriale che rinunci alla siderurgia“.
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