“Ti amerò fino a che morte non ci separi”. Nella formula che si recita nel matrimonio religioso si dice anche “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”. “Ti amerò per sempre, fin oltre la morte”. Un sogno di giovani innamorati, magari un po’ demodè? Oppure una promessa, un po’ azzardata, che si fa quando si sente lo stomaco gorgogliare, quando il turbinio di sentimenti – desiderio, passione, amore – è molto forte, quando prevale o esiste solo la parte irrazionale e si è ancora lontani dalla prima fisiologica crisi?
Ma un grande amore lega per sempre, anche dopo la morte. Lo possono confermare le tante persone che dopo anni di vita passati insieme continuano a sentire la presenza dell’amato/a al proprio fianco, magari proprio tra quelle mura dove sono vissuti insieme fino a qualche tempo prima, dove tutto continua a parlare di chi non c’è più. Una presenza talmente forte da avere quasi la certezza di vederne la sagoma o sentirne la voce. In realtà sono esperienze allucinatorie post lutto (Pbhe) e, secondo quanto appurato da un team di scienziati italiani, non sarebbero un fenomeno raro.
Per i ricercatori del Dipartimento di scienze della salute dell’università degli Studi di Milano, fino al 60% delle persone rimaste vedove ha sperimentato episodi come la visione del proprio compagno morto seduto su una vecchia sedia. O ancora lo ha sentito chiamare il proprio nome. “L’evidenza suggerisce una prevalenza sorprendentemente elevata di esperienze allucinatorie post lutto – che va dal 30% al 60% – tra i soggetti vedovi, dando consistenza e legittimità a questi fenomeni”, scrivono gli scienziati nello studio, basato su una revisione della letteratura scientifica sul tema e pubblicato sulla rivista ‘Journal of Affective Disorders’.
Il lavoro degli esperti made in Italy ha avuto risalto anche sulla stampa internazionale, e, sebbene l’insieme di ricerche prese in considerazione dagli autori sembri sostenere la ricorrenza degli episodi di Pbhe fra le persone in lutto, “sono necessari ulteriori studi per aumentare l’affidabilità di questi risultati e perfezionare i confini tra esperienze fisiologiche e patologiche”, annotano i ricercatori. Le esperienze allucinatorie post lutto sono esperienze sensoriali anormali e vengono spesso riportate da persone senza una storia di disturbi mentali alle spalle. I contorni del fenomeno restano incerti, anche se in linea generale non viene considerato di per sé un problema patologico.
L’obiettivo che si sono prefissati i nostri esperti è stato quello di sistematizzare le conoscenze disponibili, esaminando la documentazione sulla popolazione in generale e gli studi clinici sulle Pbhe. Sul tema il numero di articoli scientifici è comunque ancora relativamente basso.
Ma c’è da annotare anche che spesso chi ‘vede’ o ‘sente’ in vari modi il proprio partner scomparso, tende a non raccontarlo: molto pesa infatti la paura che gli altri possano ritenere la persona affetta da disturbo mentale. Vista la riluttanza a confidare esperienze simili, c’è dunque la possibilità che il fenomeno sia ancora più comune. Anche altri scienziati si sono occupati di Pbhe. Tra questi, secondo quanto riporta il Daily Mail online, Jacqueline Hayes dell’University of Roehampton (Gb), che preferisce parlare di esperienze di presenza continuata (Ecp) per via della connotazione ‘negativa’ che potrebbe avere la parola allucinazione.
La scienziata ha condotto interviste con persone di tutte le età che hanno perso partner, genitori o figli, ma anche amici. Persone che, racconta, “riferiscono visioni, voci, sensazioni tattili, odori e qualcosa che si potrebbe definire come un senso di presenza che non è necessariamente correlato ai 5 sensi”. Può succedere “involontariamente e, per esempio, non mentre qualcuno sta deliberatamente ‘ricordando’. Ho scoperto – racconta l’esperta – che queste esperienze possono a volte essere ‘guaritive’ o ‘trasformative’ e per esempio si sente la persona amata chiedere scusa per qualcosa che è accaduto, mentre altre volte è in primo piano la perdita e il dolore”. Del resto, aggiunge, “sarebbe strano se l’interazione” con il proprio amato, “che è parte della vita quotidiana, improvvisamente si fermasse”.
Chiudo gli occhi e penso a lei Il profumo dolce della pelle sua È una voce dentro che mi sta portando dove nasce il sole…
Chiudo gli occhi e penso a lei
Il profumo dolce della pelle sua
È una voce dentro che mi sta portando dove nasce il sole…
Sono le prime strofe della canzone “Grande amore” del trio lirico Il Volo. Come tutti i testi prende ispirazione dalla realtà vissuta e da quella che si sogna. Il Grande Amore esiste, da quello di Abelardo ed Eloisa, Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta, cantati dalla letteratura, a quello della mamma malata di cancro, incinta, che rifiuta le cure, dà alla luce la sua bimba e poi muore.
Di storie bellissime, vere, vissute fino all’ultimo respiro è pieno il mondo. Sono proprio queste, nate dalla grande forza che solo l’Amore sprigiona, che devono cancellare dai nostri occhi e dai nostri ricordi gli episodi più tragici e sconvolgenti di cui le pagine di cronaca ogni giorno sono piene. Quelli che sempre più spesso hanno per vittime donne che non vivono più al fianco del proprio partner, che addirittura vengono sfregiate perché neanche altri possano guardarle né possederle.
I grandi amori esistono, ma hanno bisogno di dedizione, di disponibilità ad impiegare le proprie energie per le necessità dell’altro; sono frutto di compromessi, di un venirsi incontro continuo. Anche di sopportazione, pazienza, attenzione, intuizione, tempo (pure quello che si ritiene di non avere) da dedicare all’altro, alle sue necessità, ai suoi desideri. In fondo l’amore è fatto di cose piccole. Ma devono essere numerose.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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