A Natal è festa uruguaiana
Uruguay-Italia 1-0. I sudamericani passano agli ottavi. Azzurri a casa. Finisce al “Das Dunas” di Natal il Mondiale della nazionale di Prandelli. Una partita brutta, bloccata vuoi per la tensione, vuoi per il gioco spezzettato dai falli (ma con l’Uruguay è prassi), vuoi per il disinteresse italiano a far la partita e per la contestuale povertà ideativa della Celeste, vuoi per l’infelice orario (seconda partita di fila giocata alle 13, ora italiana; non una giustificazione ma una constatazione), poi l’arbitro, il messicano Rodrìguez, che prende due decisioni che peseranno come macigni sull’economia del match. Ma ha vinto l’Uruguay. E a casa torniamo noi. E, tutto sommato, al netto delle considerazioni appena fatte, è un verdetto tutt’altro che scandaloso.
Il primo tempo si può riassumere in pochissime battute: Italia pericolosa solo per un intervento incerto di Muslera sulla classica “maledetta” su punizione di Pirlo. Un tiraccio di Balotelli ciabattato fuori. Questa la prima frazione degli azzurri. Un tiro da posizione impossibile tanto era defilata, di Suàrez respinto da Buffon, bravo anche ad opporsi sulla successiva battuta di Lodeiro. Questo il primo tempo dell’Uruguay. La squadra che aveva l’onere di fare la partita e di cercare il risultato pieno.
Nella ripresa, Prandelli sostituisce un Balotelli impalpabile, nervoso come nelle sue peggiori apparizioni (e sanzionato puntualmente con il giallo che gli avrebbe negato, in ogni caso, l’ottavo) e anche indolenzito per una botta rimediata proprio in apertura di match con Parolo e Immobile, già piuttosto in ombra di suo, si ritrova ancora più solo davanti. La strategia iniziale di impostare una gara non solo di possesso palla ma anche di aggressione forti del 3-5-2 di cui si era diffusamente discettato per tutto il tempo intercorso tra la gara con la Costa Rica e quella di oggi era già abiurata. Brutto segnale.
Ciononostante, si poteva continuare a coltivare un ragionevole ottimismo, visto che l’Uruguay non sembrava affatto messo meglio in campo e con idee poche, ancor più che confuse. Tuttavia, il punteggio rimaneva in bilico e questo doveva tenere alta la soglia dell’attenzione. L’episodio era sempre dietro l’angolo. E l’Uruguay, anche se in un’edizione non trascendentale oggi, su velenosi colpi di coda ha costruito molto delle proprie fortune in passato.
Il “cebolla” Rodrìguez, innescato da una magistrale sponda di prima di Suàrez, fa suonare il primo vero campanello d’allarme graziando Buffon con un destro sbilenco da ottima posizione. Si soffre ma ancora si è in controllo. E il tempo, nostro grande alleato, continua a scorrere. Anche se le sensazioni non sono buone e ci si affida più alla pochezza creativa e al ritmo blando degli avversari che non alle nostre qualità. Solo Marco Verratti riesce a giocare a pallone con un primo tempo chiuso con un sontuoso 100% di passaggi riusciti. Non poco, in una partita dove, tra tutti e 22 i giocatori in campo, si fa fatica a ricordare due appoggi consecutivi a buon fine. Ma anche l’ex Pescara ha i suoi problemi: prima una pallonata alle parti basse gli toglie ossigeno per un bel pò, poi il polpaccio gli si blocca. E con lui si blocca anche quel poco di gioco che siamo in grado di proporre, stante la giornata no dell’altro play, Pirlo. Anche i crampi di Immobile non aiutano.
Quindi, a mezzora dal termine, il tanto temuto episodio si materializza: l’entrata di Marchisio con la suola sul ginocchio di Arèvalo Rìos, costa il rosso diretto all’azzurro. Si discute e si discuterà all’infinito sulla decisione del signor Rodrìguez. Dai microfoni Rai, dal nostro Ct e da Chiellini, intervistato a caldo, si grida allo scandalo. In realtà, rivedendo l’entrata del centrocampista juventino a mente fredda, si deve convenire che: 1) l’entrata con la suola (quindi, con i tacchetti) è brutta e sul ginocchio dell’uruguaiano; 2) pericolosa e dolorosa per chi la subisce; 3) inutile perchè non funzionale alla riconquista del pallone; 4) ingenua (per non dire stupida) perchè la tacchettata è inferta proprio sotto gli occhi dell’arbitro. Al più, un rosso eccessivo e affrettato. Scandaloso, assolutamente no.
“Assurdo restare in dieci in una partita come questa – ha detto il c.t. della nazionale commentando l’episodio dell’espulsione di Marchisio – Quando lotti su ogni pallone, ci può stare qualche fallo, ma non ho visto nessun fallo da rosso“, la rabbia espressa a caldo da Prandelli nell’immediato dopo-partita commentando l’espulsione del suo centrocampista. Parole dure, dettate dalla comprensibile amarezza del momento ma semplicistiche.
Ridotta in dieci, la nazionale rincula ancor più e l’Uruguay prende campo e fiducia e mette in campo tutto quello che ha. Cioè pochino: tanto cuore, infinita grinta e poco più. Quel più sono, ovviamente i due davanti: Cavani, costretto a sgobbare lungo tutto il fronte offensivo, e il pistolero Suàrez.
L’attaccante del Liverpool diventa il protagonista: prima costringe Buffon ad una provvidenziale parata a terra su un velenoso esterno destro che sarebbe stato gol certo contro quasi ogni portiere diverso dal ritrovato Gigi nazionale. Poi, il “fattaccio”: cadono in area sia il pistolero che Chiellini. Il centrale azzurro scosta la maglia rincorrendo l’arbitro per mostrargli la spalla scoperta. E segnata. Incredibile ma vero, Suàrez l’aveva fatto di nuovo: un morso proditorio che le immagini (da dietro rispetto ai due contendenti) non chiariscono ma che lasciano chiaramente intendere. Il segno c’è e quello è visibile anche alle telecamere. Sarebbe stata un’espulsione sacrosanta. L’ennesima follia di un giocatore che, unico nella storia del calcio, vanta già altri due precedenti in materia (uno in maglia Ajax e l’altro con il Liverpool). “Vampiro” e“cannibale”, i soprannomi non proprio edificanti che il giocatore si era guadagnato sui tabloid inglesi. Per lui è già scattata l’inchiesta della Fifa e tutto lascia presagire che verrà applicata la prova tv. La punta potrebbe aver chiuso qui il suo Mondiale.
“Gara condizionata dall’espulsione di Marchisio e da quella mancata di Suàrez? Certamente sì“, l’opinione di Prandelli. E questo, errori macroscopici o meno, è un dato di fatto. Di lì in poi inizia un’altra partita.
La torsione vincente di Diego Godìn
Intanto, però, l’inerzia della partita è tutta nelle mani dell’Uruguay e lo spettro del gol dei sudamericani comincia ad aleggiare sempre più. Solo il cronometro ci dà conforto. Ma l’ora è vicina e il fantasma si manifesta, puntuale, all’81° con le sembianze di Diego Godìn. Ovviamente, di testa (o spalla?) su calcio d’angolo. Come già riuscitogli con il suo Atlètico Madrid in occasione dello “spareggio” valso ai colchoneros la Liga al Camp Nou e l’illusorio vantaggio nella finale tutta madrilena di Champions. L’unico modo in cui l’Uruguay poteva far male. Bonucci, fin lì impeccabile, macchia così una prestazione altrimenti esemplare.
Ora il cronometro diventa, d’improvviso, il nostro nemico n. 1. E scorre.Veloce. Come dovrebbero andare le gambe dei nostri. Ma la stanchezza c’è e si vede. L’Uruguay mostra titubanze anche dietro ma è troppo tardi per avvicinare Muslera. Finisce con anche Buffon a partecipare all’arrembaggio finale. Ma non accade più nulla.
Attenzione, però nell’addossare all’operato del signor Rodriguez tutte le responsabilità della sconfitta. Non bisogna dimenticare che nei ripetuti duelli rusticani tra Chiellini e Cavani, il “Matador” un legittimo rigore se lo era procurato nel primo tempo. E volendo allargare il discorso agli arbitraggi che abbiamo avuto in tutto il Mondiale, va ricordato il penalty solare non fischiato sempre a Chiellini contro la Costa Rica e l’intervento di Paletta su Steven Gerrard che avrebbe meritato l’estrema punizione contro gli inglesi. Non possiamo, complessivamente, lamentarci troppo.
Comunque, Uruguay agli ottavi contro la Colombia. Italia che torna a casa. Ma da Manaus. La nostra Coppa del Mondo era finita lì. Contro la Costa Rica siamo stati impresentabili. Contro l’Uruguay, episodi a parte, si era scesi in campo all’insegna dell’attacco come miglior difesa ma, da subito, ci si è adagiati al ritmo blandissimo dei nostri avversari. Confidando nella loro modestia e nel cronometro. E tirando, tra Costa Rica e Uruguay, due sole volte in porta.
Giusto così.
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