La Lazio di Reja prosegue la sua striscia d’imbattibilità in campionato (ha perso solo dal Napoli in Coppa Italia) e centra il suoi secondo colpo esterno. Dopo Udine, arriva il consueto (vista la più che favorevole tradizione dei biancocelesti sul terreno dei “pandorini”) il sacco di Verona ai danni del Chievo. Un 2-0 netto e anche troppo clemente nei confronti dei padroni di casa, mai capaci di creare pericoli alla porta laziale. Con Keita ad indossare i panni del mattatore: l’assist a Candreva per il gol del fulmineo vantaggio già al 6’ e poi il raddoppio in proprio (pur con l’aiuto della deviazione di Canini) al 25’ della ripresa per il sigillo finale. In mezzo e dopo, tante altre giocate, belle ma anche utili alla squadra e mortifere per un Chievo che è giunto alla 7° uscita consecutiva senza vittorie. Il giovanissimo fenomeno di passaporto spagnolo è riuscito nella titanica impresa di far dimenticare almeno per un giorno i mal di pancia in casa biancoceleste dopo la conclusione della trattativa che ha visto il “Profeta”, al secolo Hernanes, imboccare la via della Milano nerazzurra.
Con Reja la Lazio sembra, pur in parte, tornata quella che conoscevamo: solida dietro (veramente pochi i pericoli corsi in ciascuna gara), manovriera il giusto in mezzo, cinica quanto basta davanti. E non è poco.
Ma difficilmente basterà a placare gli umori di una piazza rimasta delusa per l’ennesima sessione di mercato chiusa in modo ben più della sensazione di un depauperamento tecnico. Gli arrivi di Kakuta e di un esperto ma anche stagionato e acciaccato (e sarebbe ora di finirla con l’acquistare giocatori fermi per problemi fisici più o meno gravi già prima del pronti via, vero presidente?) Helder Postiga non possono compensare la partenza dolorosa di Hernanes. Non è solo una questione affettiva e neanche il rammarico di veder partire uno dei tre-quattro leader tecnici della squadra (con Marchetti, Klose e, se vogliamo, Candreva) , ma il modo che “ancor m’offende”. Il giocatore è stato svenduto, con o senza la contropartita tecnica di Mbaye. Ma è solo la conseguenza di un ennesimo capitolo di mala gestione lotitiana. Hernanes voleva andar via, certo. Non c’era bisogno di fargli scrivere la “letterina aperta ai tifosi”. Lo sapevamo tutti. Da quando, subito dopo la premiazione del 26 maggio, davanti ai microfoni Rai, il brasiliano affermò candidamente di non esser certo di rimanere. Il messaggio era chiaro: vorrei andare in una squadra più ambiziosa a meno di cospicui adeguamenti. Lotito lo sapeva. E se non aveva alcuna intenzione di accontentare il giocatore, aveva il dovere di cercare di cederlo per una cifra molto più vicina ai 30 milioni all’inizio dell’estate. Avrebbe avuto tempo, modo e liquidi per tornare sul mercato e compare un degno sostituto consentendogli anche di fare la preparazione estiva con i nuovi compagni. Così, invece, è stato costretto a svendere un talento in prossimità di scadenza di contratto alle condizioni altrui.
Capitolo Roma: la partita con il Parma è durata una manciata di minuti, quelli necessari ai capitani delle squadre e a Garcia per urlare all’arbitro De Marco l’impossibilità di giocare su un campo divenuto piscina e allo stesso fischietto di ritornare sui propri passi e sospendere definitivamente il match. Verrà recuperato a marzo o ad aprile (si parla del 2 o del 9). Anche qui: il maltempo era annunciato da giorni e per giorni si è protratto. Proteggere il prato in modo adeguato era così impossibile? Ne va della regolarità del campionato.
Nel posticipo domenicale, infine, la Juve ha battuto, ben oltre il 3-1 finale, un’Inter sempre più imbarazzante e scesa in campo con l’atteggiamento sparagnino della vittima predestinata prima di abbozzare una tardiva parvenza di reazione. Anche qui, non ce ne voglia Mazzarri, ma i tanti tifosi nerazzurri meriterebbero maggior rispetto.
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