A quattrocento anni dalla sua morte, possiamo affermare con certezza che non c’è argomento della vita umana che Shakespeare non abbia trattato nella sua opera. Compreso quello della follia. Nel teatro elisabettiano, e in quello giacominiano poi, la follia ha un ruolo drammaturgico importante. Diviene privilegiato veicolo espressivo di un malessere che si avverte in tutte le manifestazioni artistiche tardo rinascimentali e barocche.
In Europa c’è stata la Riforma e la Controriforma, il pessimismo antropologico calvinista pervade la cultura soprattutto nordica; allo stesso tempo insorge uno sperimentalismo esasperato nel campo della scienza che convive con il rilancio delle arti magiche e dell’occultismo. E’ un periodo tormentato della storia umana.
Nel teatro shakespeariano c’è una folta presenza di streghe ed entità preternaturali, ciò però non significa che nelle cause della pazzia si pensi a un intervento delle forze del male. Anche nel caso in cui l’entità preternaturale sembri scatenare un’insania, in realtà la sua presenza ha una finalità drammaturgica. Serve a stimolare quello che nel personaggio già è presente. Le streghe nel “Macbeth”, ne sono un esempio lampante. Hanno lo scopo di esasperare la brama di potere del personaggio che culminerà in una follia sanguinaria. Le streghe profetizzano a Macbeth che sarà re e così gli suggeriscono il regicidio. Il pensiero omicida si inchioda nel suo cervello, ne parla con la moglie, lady Macbeth. La donna, saputa la notizia della profezia, e saputo che il re Duncan sarà loro ospite, recita una emozionante esortazione al male:
“Il corvo stesso è rauco/ che annuncia l’ingresso fatale di Duncan sotto i miei spalti. Venite, Spiriti/ che presiedete ai pensieri di morte, toglietemi il sesso,/ e riempitemi tutta, dalla testa ai piedi/ della più spietata crudeltà!”
Compiuti gli assassinii (due in realtà), la presenza del soprannaturale serve per dare corpo al patologico senso di colpa. Appaiono i fantasmi degli assassinati, Macbeth impazzisce.
Particolarmente complessa e toccante appare la caratterizzazione psicologica di Amleto. Per comprendere a fondo la follia vera e simulata del personaggio è necessario risalire a una tradizione drammatica già nota, quella del giullare pazzo. Da questa si sviluppa nella drammaturgia secentesca quella del melanconico. Con delle differenze. Il giullare recita la parte del pazzo per professione, rifiuta la sapienza umana, la smaschera, deride vizi e ipocrisie. Il melanconico è scontento della vita, è membro della società di cui prova distacco e disgusto, vive appartato, mostra una acuta cerebralità. Amleto è un melanconico, lo scopriamo dalle prime battute della tragedia quando sua madre, la Regina, lo esorta a liberarsi dall’oppressione del lutto per la morte del padre. Amleto risponde che il suo dolore va oltre il nero mantello,gli addobbi di convenzione di un lutto solenne,i sospiri che si esalano dal petto,l’abbondanza delle lacrime.
Rimasto solo Amleto sfoga tutto il suo disgusto per il mondo in un accorato monologo nel quale si compiace del suo dolore. E’ questo il momento in cui prendono corpo i primi sintomi della sua ossessione.
“Oh perché questa massa di carne troppo indurita non può stemperarsi in lacrime? O perché l’Onnipotente ha vietato il suicidio? Oh Dio! O Dio come fastidiose, tristi, scolorate mi sembrano tutte le cose di questo mondo! Obbrobrio ad esso! Oh Obbrobrio! Esso è un giardino incolto pieno tutto di malefiche piante…”.
Amleto è afflitto dall’idea che la madre, dopo solo due mesi dalla morte del padre, si sia ricongiunta in nuove nozze con lo zio. Quando lo spettro del padre appare e gli rivela l’ignobile delitto dello zio, l’angoscia di Amleto acquista una logica. Questo lo appaga più della vendetta.
Dopo l’apparizione dello spettro, la caratterizzazione psicologica di Amleto assume caratteri contraddittori che seguono, però, momento per momento, l’esplosione della follia. Una follia che, inizialmente simulata, prende corpo successivamente in una vera e propria degenerazione patologica delle passioni e dell’umore.
L’autentico momento di pazzia di Amleto è l’assassinio di Polonio che il principe commette pensando di uccidere lo zio.
Amleto alza la tenda e trae a sé Polonio ma rimane completamente indifferente di fronte al cadavere, come indifferente rimane Macbeth quando viene a sapere che sua moglie è morta. E’ un freddo cinismo tipico del folle che ha perso il senso della realtà. Amleto non si rammarica neanche di aver sbagliato bersaglio.
Il raptus riassume e simboleggia la personalità ossessiva del personaggio shakespeariano che in fatto di dinamiche interiori e concause della pazzia è riuscito a precorrere di molti anni lo studio scientifico della psicopatologia.
Alessandra Caneva
Esperta in tecniche di comunicazione, di scrittura e sceneggiatura, ho collaborato come autrice e consulente editoriale con la Rai e con strutture di produzione cinematografica e televisiva (Lux Vide, Titania Film, Ae Media Corporation), per le quali ho firmato numerosi soggetti di serie e consulenze editoriali. Sono autrice anche romanzi e saggi di critica televisiva
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy