Luci spente, strade buie. Il crepuscolo anticipato di una giornata di ottobre ha dato vita, a Roma e dintorni, ad una manifestazione silenziosa di protesta. Oltre 500 attività ieri, dalle 18 alla chiusura delle 20, hanno spento insegne e vetrine per attirare l’attenzione dei cittadini e delle autorità sull’amministrazione comunale, oggi incontrovertibilmente poco attenta alle necessità dei commercianti privati, mentre si manifesta sempre più accondiscendente nei confronti della grande distribuzione (Gdo) che continua ad aumentare i mega punti vendita nella Capitale. Una volta solo fuori raccordo, ora invece anche in centro città.
Con ‘Spegni la luce’, manifestazione organizzata da un gruppo di commercianti romani, sembra concretizzarsi l’idea di bloccare un fenomeno ormai decisamente fuori controllo. a protestare sono ovviamente i piccoli e medi commerciali, sempre più strangolati da super e ipermercati dalle mille proposte di sconti, premi e tutto quello che oggi la Gdo è in grado di offrire a piene mani.
La protesta comunque resta, così come pure la mobilitazione.”Il colpo d’occhio non è affatto buono”. Giulio Anticoli, commerciante e promotore della manifestazione, pensa al futuro del commercio: “sempre più incerto e sempre più buio”. “Abbiamo sotto gli occhi la trasformazione in peggio di una città come Roma con millenni di storia, un patrimonio artistico, architettonico e culturale che ha influenzato tutto il mondo”. Da questo non si poteva prescindere. Ed oggi cosa abbiamo? “Una città cosmopolita che ha riconvertito intere aree a bivacco, grazie ad offerte per un food fatto di aperitivi, apericene, spuntini, panini e chi più ne ha più ne metta”.
Le aree limitrofe a queste piazze sono invece una desolazione di saracinesche abbassate che tali rischiano di restare per tutti gli anni a venire. I negozi capitolano l’uno dopo l’altro. E il fenomeno si manifesta non solo nei quartieri semi-centrali o periferici ma anche da un po’ di tempo nel centro storico. Ma perché questa crisi? la verità è che i poveri sono diventati sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi. A precipitare nelle sabbie mobili della stagnazione è tutta la classe media italiana che in un decennio ha perso, secondo recenti statistiche, oltre il 10% del reddito.
La moria di attività commerciali è ormai sotto gli occhi di tutti: moltissimi negozi del centro storico sono stati chiusi. Cosa mai successa prima. “A via Sistina, quella che era chiamata ‘la via felice’, la strada che da piazza Barberini sale fino a Trinità dei Monti, ci sono 6/7 serrande abbassate. Frutto quest’ultimo di un altro fenomeno negativo, quello degli affitti megagalattici e proibitivi. “Ma anche il resto del cuore della Capitale è nelle stesse condizioni : sono stati persi 265 esercizi commerciali in cinque anni”, spiega Giulio Anticoli che riveste anche la carica di presidente delle Botteghe storiche romane. “C’è una perdita di tessuto commerciale di qualità, a vantaggio del commercio di scarsa qualità, il più delle volte gestito da organizzazioni malavitose che in questa maniera riciclano denaro sporco: negozi di souvenir da pochi centesimi, minimarket che non si sa come si reggono… Basti sapere che nel cuore della Capitale, all’interno delle Mura Aureliane ci sono 1300 tra minimarket e frutterie, in genere gestite da extracomunitari”. C’è da chiedersi a cosa servano tante attività del genere.
“C’è qualcosa che ci sfugge”, dice ancora il promotore dell’iniziativa che ha un negozio di abbigliamento uomo-donna in viale Somalia, messo su dal papà Sandro nel lontano 1955 eredi di cultura e tradizioni commerciali maturate in decenni di esperienze professionali con l’esercizio di mestieri tramandati di padre in figlio. Un prezioso valore di continuità familiare e sociale.
Un esempio? Guardiamo quello che succede in campo alimentare. “Nel settore abbiamo perso le competenze di chi conosceva il fresco, il prodotto di qualità. Abbiamo del tutto dimenticato, ad esempio, la rosetta classica e fragrante che veniva sfornata tre volte al giorno”, osserva ancora.Ed è inutile aggiungere che “questo sta succedendo anche nel tessuto commerciale generale, nel negozio di abbigliamento come in quello di scarpe. Su questi fenomeni distorsivi del mercato è penosamente assente il ruolo guida della pubblica amministrazione che punta solo a moltiplicare questo fenomeno, senza considerare le ricadute negative in tutti i settori del commercio nella Capitale”.
Secondo i dati elaborati dalla camera di Commercio di Roma, nell’arco di tempo dal 2013 al 2018 sono rimaste aperte 8.354 imprese ma sono di più quelle che hanno chiuso i battenti: 8619. L’unico comparto che regge al momento è quello della ristorazione e l’alberghiero: 1872 aperture contro 707 chiusure: un vero e proprio boom.
Nel settore artigiano invece 388 attività scomparse contro le 322 che hanno aperto. Nel commercio le nuove iscrizioni sono state 1703 a fronte di 1977 scomparse in seguito a chiusura. Altra differenza forte e negativa nel settore dei servizi delle imprese. Noleggio e agenzie di viaggio chiudono male: 939 attività cessate contro le 621 aperte.
“C’è un problema sociale dietro ad un esercizio chiuso – osserva Anticoli – se la persona che chiude i battenti del suo negozio è un commerciante tra i 40 e i 50 anni si pone il problema della sua ricollocazione, in quanto oggi chi lascia non prende più né buonuscita per il locale, né il Tfr che gli veniva corrisposto con la vendita della licenza. Ecco perché il fenomeno della chiusura sempre più numerosa dei vari esercizi (Concommercio ha stimato per il 2019 14 chiusure ogni giorno sul tutto il territorio nazionale, ndr) diventa un problema molto esteso e reale su cui occorre porre l’attenzione di tutti. Dallo Stato al Comune”.
Alessandra Binazzi
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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