Con la quantità di plastica prodotta negli ultimi 60 anni – 8,3 miliardi di tonnellate (finora) il peso di un miliardo di elefanti, una quantità inimmaginabile che per lo più è finita nell’ambiente e pochissima è stata riciclata – sarebbe stato da ingenui pensare che non sarebbero finite nella catena alimentare e persino nell’acqua che beviamo, sia essa imbottigliata o di rubinetto.
Sono quelle piccolissime particelle con un diametro compreso tra i 330 micrometri e i 5 millimetri, invisibili ad occhio nudo, ad inquinare cibo ed acqua, con un alto tasso di pericolosità per la salute dell’uomo e dell’ambiente dimostrata da diversi studi scientifici. I danni più gravi si registrano soprattutto negli habitat marini ed acquatici. Ciò avviene perché la plastica si discioglie impiegandoci diversi anni e fintanto che è in acqua può essere ingerita e accumulata nel corpo e nei tessuti di molti organismi. La sua presenza è stata accertata in diversi prodotti o alimenti – dai frutti di mare al sale marino, dai pesci al miele fino alle acque potabili – e spesso porta anche con sé “sostanze tossiche, molecole cancerogene e batteri”.
Su questo si concentra la ricerca presentata dal mensile ‘Il Salvagente’. L’analisi – fatta nei laboratori del Gruppo Maurizi, (società di consulenza che opera nel campo della sicurezza alimentare, ambientale e dei luoghi di lavoro) su 18 campioni anonimi di bottiglie di cole, aranciate, gassose, tè freddi, tra i più venduti nei supermercati – “mostra una contaminazione al di là delle aspettative: la presenza di microplastiche non ha risparmiato alcun prodotto, tutte e 18 le bottiglie sono risultate contaminate, con valori che vanno da un minimo di 0,89 microparticelle per litro (mpp/l) ad un massimo di 18,89 mpp/l”. “Nel corso delle analisi che abbiamo effettuato per valutare la possibile presenza di microplastiche nei liquidi – spiega Daniela Maurizi, amministratrice del Gruppo Maurizi – abbiamo realizzato accurate prove. I dati rilevati nel nostro laboratorio confermano il legame tra inquinamento ambientale e catena alimentare”.
Il Wwf Italia ha per questo lanciato una petizione on-line (su ‘change.org/plasticfree’) per chiedere, tra le altre cose, all’Europa di vietare i prodotti in plastica usa e getta (la Commissione europea ha deliberato a fine maggio per contrastare la diffusione dei 10 prodotti di plastica monouso più inquinanti per spiagge e mari: bastoncini perla pulizia delle orecchie, posate, piatti, cannucce, mescolatori per bevande e aste per palloncini, che rappresentano il 70% dei rifiuti marini, dovranno essere fabbricati esclusivamente con materiali sostenibili).
“Ogni anno centinaia di migliaia di tonnellate di plastica invadono il Mediterraneo – afferma Gaetano Benedetto, direttore generale del Wwf Italia – la plastica è un nemico invasivo e spietato e difficile da sconfiggere, ormai entrato anche nella catena alimentare. Le plastiche del Mediterraneo trasportano tra le più alte concentrazioni di organismi diversi mai registrate capaci di avere forti impatti sugli habitat marini. Serve un’azione decisa e immediata per evitare che il Mediterraneo soffochi nella plastica”. E’ per questo che – prosegue Benedetto – “nella nostra petizione chiediamo che gli Stati europei vietino da subito 10 prodotti di plastica usa e getta; che venga introdotta una cauzione sui prodotti in plastica usa e getta; che siano messe fuori produzione in Italia le microplastiche da tutti i prodotti entro il 2025, confermando il divieto delle microplastiche nei cosmetici dal primo gennaio 2020; e che sia finanziato non solo il censimento degli attrezzi da pesca ‘fantasma’, cioè dispersi in mare, ma anche il loro recupero e il corretto smaltimento”.
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