E’ stato definito uno sciopero global, il primo. La protesta dei lavoratori dei fast food americani si è allargata: per protestare contro quelle che definiscono i dipendenti della ristorazione veloce, per protestare contro quelle che definiscono paghe da fame, hanno incrociato le braccia in 150 città degli Stati Uniti, ma anche in 33 Paesi del mondo. In Italia si lamentano i dipendenti di McDonald’s che si uniscono allo sciopero generale unitario di Cgil, Cisl e Uil sul contratto nazionale del turismo applicato dai fast-food, indetto per oggi.
La campagna è iniziata nel 2012 a New York. Le richieste riguardano soprattutto l’aumento del salario minimo da 7,25 dollari a 15 dollari l’ora. Ma c’è anche la richiesta di far valere il diritto ad aderire alle Union, i sindacati.
Esistono. ad esempio, differenze salariali all’interno della stessa catena: nel Nord Europa McDonald’s paga meglio. Il motivo sarebbe, ha risposto la maggiore catena di fast food in piedi dal 1940 che dà lavoro fisso a circa mezzo milione di persone, che i salari sono stimati in base alla mansione e al costo della vita locale. Ma rimane sempre come elemento di protesta la precarietà dei posti e il limite temporale dei contratti.
Negli Usa le catene coinvolte nello sciopero generale sono McDonald’s, Burger King, Wendy,s’, Kfc. Negli altri Paesi, le catene presenti sul territorio. Molti rappresentanti dal resto del mondo hanno partecipato all’incontro di mercoledì 7 maggio a New York con i rappresentanti della International Union of Food, Agricultural, Hotel, Restaurant, Catering, Tobacco and Allied Workers’ Associations, federazione internazionale dei lavoratori del settore che raccoglie quasi 400 sindacati nel mondo, compresa la Filcams Cgil.
Dibatti e incontri anche davanti alla sede di McDonald’s in Nuova Zelanda, flash mob nelle Filippine, in Corea del Sud, Marocco e Malawi, mentre volantini saranno distribuiti davanti ai fast food in Argentina e Brasile.
In Europa, oltre all’Italia, protestano Gran Bretagna, Svizzera, Belgio e Irlanda. Infine, ristoranti chiusi anche a Karachi, Bangkok, Indonesia, Nigeria, Sudafrica e Giappone.
La protesta, definita global, è anche social. Per chi volesse seguirne l’andamento, su Twitter gli hashtag sono #FastFoodGlobal e#fightfor15, cioè lotta per 15 dollari all’ora. Anche Facebook ha la sua pagina.
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