Quel pomeriggio di un giorno da cani tra le urne del mondo…

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Quando ho ricevuto una decina di giorni addietro l’invito precetto della sindaca Virginia Raggi che mi chiedeva di adempiere ai miei obblighi di cittadino presso le urne dove convergono le schede degli italiani all’estero, ho pensato subito che quel foglietto di carta era solo una grandissima rottura di palle. Non ho mai fatto lo scrutinatore. Nessuno me lo aveva mai chiesto e me ne sono sempre ben guardato dal propormi per simili rimpatriate. Non per scarso senso civico ma perchè le divertite e in qualche caso anche piccate testimonianze di alcuni amici non mi aiutavano a fare scelte in quella direzione.

Scartata l’dea di marcare visita e tradire il precetto, domenica mattina non dico di buon grado, ma con infausto coraggio decido di andare.  Appuntamento previsto dal documento di incarico “ore 11,00 domenica 4 marzo alla Travesa del Grillo presso il centro operativo della protezione civile italiana” a Castelnuovo di Porto, a qualche chilometro dalla stazione di Monterotondo. Abitando vicino al raccordo anulare sulla Cassia scelgo di scendere verso Prima Porta e prendere la Tiberina.

Sono le 10,20 del mattino. In tempi normali e senza correre potrei raggiungere Castelnuovo di Porto in quindici minuti. Tutto bene fino allo svincolo del Gra. In prossimità di Prima Porta il traffico rallenta, si va avanti a fatica. Prima dei tunnel la marcia si fa ancora più lenta. Ma è ancora niente rispetto a quello che sarebbe successo da li a poco. E’ l’inizio di un  calvario che alla fine della giornata mi rimanderà con la mente allo splendido film con Al Pacino “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, un capolavoro degli anni Settanta.

All’inizio della Tiberina si procede a passo d’uomo. Non comprendo bene perchè quel rallentamento, ma vado avanti lo stesso. Il pensiero va al semaforo che porta alla entrata secondaria del Cimitero di Prima Porta. Un paio di chilometri, penso e passa la paura. Ma quei due maledettissimi chilometri li percorro in 40 minuti. Si sono fatte le undici. Arrivato al semaforo l’amara sorpresa. Oltre quella barriera non c’è strada libera.Voglio rassicurarmi. E il pensiero si rifugia nell’ipotesi di un incidente che blocca la strada. Passano alcuni ciclisti che fanno strani cenni. Non riesco ad interpretarli ma comincio a pensare che quelle facce divertite hanno il sapore della compiaciuta malizia di chi dall’ingorgo può uscire senza problemi e gode nel vedere gli altri nella merda.

E così è. Ancora un’ora in macchina e a mezzogiorno scopro di aver fatto solo quattro penosissimi chilometri. Con questa andatura comincio a pensare che non sarei arrivato al seggio se non la notte. Arranco ancora e dopo due tre chilometri arrrivo nei pressi di un distributore della Ip. E’ l’una e mezza ed il traffico come d’incanto si ferma. Il nervosismo diventa esasperazione. A cento metri c’è una deviazione con un ponticello che porta ad un centro addestramento del Coni. Mi illudo di aver trovato il bandolo della matassa. Pia illusione. Entro in una tenuta agricola privata. Mi seguono alcune macchine. Sperano anche loro. Poi tutti indietro con una guardia giurata che dopo averci scambiato per ladri di polli o maialini ci dice ridendo: “Di qua non si va da nessuna parte. Dovete tornare sulla Tiberina”. Nuovo percorso di guerra tra pioggia e fango per tornare, dopo un’altra mezzora persa a spasso per i campi, nella bolgia della provinciale.

A quel punto chiamo lo 060606. Risponde un ragazzo che alle mie domande risponde con un uno sconcertante “…Sappiamo dell’ingorgo. C’è un grosso incidente all’altezza dell’incrocio con Fiano. Soltanto il giorno dopo avrei saputo che non c’era stato nessun incidente. Nessun Tir rovesciato sulla strada. Nel frattempo sulla Tiberina non si incrocia nessuna auto di Polizia municipale, Carabinieri o Pubblica sicurezza. In cielo solo un elicottero. Come nel film di Lumet. Si sono fatte quasi le quattordici.

Prendo coraggio e rifaccio tutta la strada a ritroso ben sapendo che ero ormai prossimo alla meta, l’avvelenata ma agognata meta del bivio per Castelnuovo di Porto. Non potendone più provo la soluzione Salaria anche per superare la tensione aggravata da gambe e polpacci costretti a muoversi, per più di tre ore, nello spazio morsa tra la prima e la seconda marcia (praticamente mai messa) di guida.

Comincio a respirare, maledicendo il momento in cui ero sceso da casa. Con la Salaria tutto fila liscio. Arrivo a Monterotondo. Il tempo di un caffè per sgranchire le gambe e via di corsa verso la Traversa del Grillo. Comincio a pensare di avercela fatta. Povero illuso. Alla prima importante rotonda di Castelnuovo tutto il traffico rallenta. Vedo il primo cartello con le indicazioni ” Seggi elettorali per l’estero”. Ma scopro con disappunto che a dirigere il traffico sono prima uomini della polizia ecologica poi, subito dopo, le guardie carcerarie…E’ il caos. All’ingresso del centro mi accolgono i pompieri ed una macchina, la prima, dei carabinieri. Sono quasi le quindici. Ha inizio la seconda parte del pomeriggio da cani. E’ la cronaca di una follia.

Entro e chiedo informazioni. Nessuno sa nulla. Non c’è un centro informazioni,  chiedere non serve a nulla anche se tutti chiedono a tutti. La percezione è quella dell’aria che ti manca. Piove in continuazione. E’ una giornata sfigata e triste. Il buongiorno si era visto dal mattino. Cinque ore per fare qualche chilometro e arrivare a destinazione. E una volta arrivati la confusione più totale. Dopo venti minuti di struscio inutile e con un sistema nervoso abbondantemente provato riesco a raggiungere il seggio. E’ in un grandissimo salone dove si sono sistemate alla meno e peggio non meno di sei-settecento persone, tra scrutatori, personale della corte d’appello, e personale della protezione civile insieme a qualche poliziotto che discretamente controlla.

Quando mi presento al seggio mi accoglie il presidente. E’ una professoressa di liceo. Con lei un ragazzo che insegna religione nello stesso istituto. Stanno lì dalle nove del mattino. Mi sorridono. “Siamo in tre. Possiamo cominciare. Il minimo legale previsto dalla legge c’è”. Manca all’appello la metà degli scrutatori. Non si presenteranno mai. Iniziamo a lavorare quando si affaccia un funzionario non meglio identificato che ci chiede quanti siamo…”Vi mando altre due persone subito. Il sesto dopo”. Il presidente, una signora pignola e piena di paure, ringrazia. Aspettiamo una mezzora per capire poi che non sarebbe arrivato nessuno. Si presenta  solo un ragazzo sveglio e simpatico che ci chiede: “Sono un volontario. Son qui di mia iniziativa. Mi volete con voi?” Ma certo.

Inizia lo scrutinio vero e proprio. Si sono fatte le diciotto. E siamo solo all’inizio. A giudicare da quanti si presentano al nostro tavolinetto per avere informazioni, capiamo che ci troviamo di fronte ad una organizzazione fai da te. Tremendo.  Tra lunghe soste imposte dalla mancanza di tutto e dalle lunghe file ai bagni e all’unico bar allagato in seguito alla otturazione di qualche tubo dell’acqua, si va avanti ad oltranza. Fino alle 9,15 del mattino successivo.  Ad attenderci all’uscita non c’erano però i cittadini plaudenti del piccolo centro della frontiera americana che avevano preso a simpatia gli scrutinatori-rapinatori. C’era la stessa pioggia della mattina precedente e le stesse guardie carcerarie e gli stessi pompieri che nel frattempo però avevano avuto, beati loro,  il cambio dai loro colleghi. Un calvario e una giornata da dimenticare.

 

 

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