Chi ha capito tutto è il popolo di Twitter dove gli sfottò e l’ironia stanno facendo a pezzi l’amministratore delegato di Rolex Italia Giampaolo Marini. Questo bravo, ma non certo grande e tantomeno originale manager, profondamente colpito e addolorato da quell’accostamento infelice fatto dal premier Renzi tra il famoso orologio ed i devastatori di Milano, vuole che il governo, cioè l’Italia, smentisca, quell’apparentamento indesiderato e minaccia ritorsioni penali. Stiamo al gioco anche noi. La cosa, visto che tutto è buono per farsi notare e attirare i riflettori di giornali e tv, potrebbe finire anche lì, se non fosse per il fatto che l’improvvida ma calcolata uscita pubblicitaria del numero uno della Rolex su tutti i maggiori quotidiani nazionali, ha una valenza socio-culturale troppo ghiotta per liquidarla, come sarebbe opportuno fare, in un angolo ironico ed irriverente di Internet.
Ma poi, diciamolo con franchezza, se ad alzare la palla è il presidente del Consiglio, la questione, dal mondo del gossip scende inevitabilmente, in un terreno più impegnativo e pericoloso: quello della politica e delle responsabilità di governo e cittadini di fronte a ciò che succede nelle nostre città oltre che nelle nostre famiglie. Prima del Rolex avevamo avuto l’exploit di un padre intelligente che, intervistato, aveva definito “un povero pirla” il figlio che a volto scoperto in tv, aveva parlato degli incidenti del primo maggio come una esperienza “fantastica ed eccitante”. Parole sue. Parole e pensieri di uno scemo a tutto tondo che, nella violenza per la violenza, riesce a trovare qualcosa di autentico e costruttivo e che in una visione totalitaria da “cupio dissolvi”, cerca elementi di riscatto politico per una società troppo adagiata e addormentata su consumi e indifferenza.
Indubbio che su quest’ultimo passaggio potremmo trovare anche spunti interessanti di convergenza per chiederci poi però,dove può arrivare, magari deragliando, una società che affida ai “figli di papà”, con o senza Rolex (analisi da condividere in buona parte con il premier Renzi) il ruolo di “giustizieri”.
Ma davvero l’Italia, di chi suda, lavora e soffre per le troppe cose che non vanno e per le troppe ingiustizie che la caratterizzano, può guardare con sereno distacco a queste manifestazioni, a questi show che il buon senso dovrebbe collocare nel cestino della spazzatura? In fondo il dottor Marini non è poi così distante dal ragazzotto che si diverte a sfasciare vetrine e teste. Tutti e due sono figli di uno stesso mondo, sempre più distante dai bisogni e dai problemi reali e sempre più immerso in questo grande proscenio dove a farla da padroni sono la ricchezza e le sue prerogative insieme al nulla che si cela dietro i molti figli di papà che, nel 1968, come oggi, trasferiscono le scelte facili del benessere nel terreno difficile e qualche volta terribile della politica.
Anche nelle Brigate Rosse i proletari, quelli veri, c’erano e pagarono con la morte e la galera la loro scelta di lotta armata nei confronti dello Stato delle Multinazionali. Ma c’erano anche tanti tantissimi figli di papà, milanesi e non, che dopo la parentesi del terrorismo, grazie al loro status di figli della buona borghesia agiata e rivoluzionaria e usufruendo di uno stato generoso per legge con quanti abbandonavano la lotta armata, la fecero franca, cavandosela meglio, molto meglio, dei loro correligionari meno blasonati. Basterebbe ricordare i Donat Cattin e il salotto buono di Prima Linea, i Barbone, i Lollo, i Perrone i Loiacono, omicida conclamato ed esule nella dorata Svizzera senza aver mai scontato un giorno di galera…
In fondo Renzi, Marini e il black bloc scemo ci hanno invitato con le loro battute a riflettere sulla pericolosità di chi sceglie di apparire sempre e comunque nascondendo con le sue affermazioni, la altrettanta pericolosità di chi, anche dalle tragedie, cerca di trarre vantaggio mediatico, ovvero ciò che oggi sembra interessare e coinvolgere di più sia le persone comuni che, soprattutto il mondo della politica.
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