Il no definitivo di Roma Capitale ai Giochi olimpici 2024 chiude un capitolo importante della vicenda. Ma sulla candidatura ritirata si continuerà a parlare a lungo. Oltre ai favorevoli a prescindere e ai contrari a prescindere – nel bene e nel male rappresentati dai loro campioni, il presidente del CONI Giovanni Malagò e la sindaca Virginia Raggi – sono infatti ancora numerosi quelli che considerano ancora aperta una questione altrettanto importante: quanto ci sarebbero costate le Olimpiadi?
Prova a rispondere Rosamaria Bitetti, una ricercatrice dell’università LUISS di Roma, in un articolo pubblicato su Econopoly, il blog collettivo di approfondimento lanciato l’anno scorso da Il Sole 24 ore.
“Nel breve periodo le Olimpiadi sono spesso in perdita – si legge nell’articolo – , ma questo non scoraggia chi le desidera, additando spesso benefici di lungo periodo ‘inquantificabili’”. Secondo alcuni, per controbilanciare le inevitabili spese faraoniche, si dovrebbe calcolare non solo il valore delle infrastrutture costruite per l’occasione – che restano a disposizione di tutti – e dei posti di lavoro creati, ma anche quello delle ricadute d’immagine e di soddisfazione.
Per poterle inserire nell’equazione, ovviamente, bisogna quantificarle, convertire in numeri che si possano mettere a bilancio. Missione difficile: la materia prima è quanto mai volatile. Ma “non è detto che questo non sia stato tentato”.
Ad esempio, ci hanno provato Bent Flyvbjerg, Allison Stewart e Alexander Budzier dell’università di Oxford, che hanno analizzato i conti di 19 edizioni dei Giochi (estivi e invernali) comprese fra Roma 1960 e Sochi 2014. In tutti i casi si è sforato il bilancio preventivo, e in nove edizioni le spese effettive hanno superato il doppio del budget, con Montreal ’76 maglia nera (+720%). Una situazione del genere è inaudita per tutte le altre grandi opere.
Perché? “In parte – spiega la Bitetti – è un macroscopico esempio di maledizione del vincitore”, quel fenomeno per cui chi vince un’asta – come quella che assegna l’organizzazione dei Giochi – tende a sborsare più del valore dell’oggetto. Ma c’entrano anche gli interessi di costruttori, albergatori, comitati sportivi e politici a caccia di consenso. Le stime ex ante, prosegue la ricercatrice, sono sbagliate tanto spesso “proprio perché realizzate o commissionate da chi più spera in questi eventi”. Roma 2024 non avrebbe fatto eccezione: gli studi erano stati commissionati all’Università di Tor Vergata, proprio quella che a Giochi finiti sarebbe subentrata nella gestione di gran parte degli impianti, e finanziati dal CONI. Sulla buona o mala fede di imprese del genere si può discutere all’infinito, ma quel che si può provare basta a dimostrare che i diretti interessati tendono a formulare previsioni particolarmente inattendibili.
Sempre secondo Flyvbjerg, gli sforamenti di bilancio medi nella costruzione di infrastrutture vanno dal 20% per le strade al 45% per le ferrovie. Sbaglia, quindi, chi giustifica l’organizzazione dei Giochi con la costruzione delle infrastrutture: tanto varrebbe costruire solo quelle. Anche perché gli economisti hanno concluso che le strutture sportive – stadi, piscine e arene varie – costano più di quanto rendono, soprattutto quando finiscono per languire inutilizzate: si pensi ai tanti trampolini per il salto con gli sci costruiti e abbandonati in ogni parte del mondo.
Il discorso è simile per l’occupazione: l’aumento di posti di lavoro tende ad essere sopravvalutato e a non durare nel tempo.
C’è pure chi crede che le Olimpiadi facciano da vetrina al Paese ospitante, e in questo caso i numeri sembrano dargli ragione. In effetti, quando si organizzano i Giochi crescono export, consumi e investimenti. Ma non è detto che sia merito delle Olimpiadi: “Mettendo a confronto i paesi candidati con paesi dall’economia simile, ma non candidati, la variazione in termini di benefici economici tende a scomparire”. I Giochi non sono la causa della crescita, ma solo un sintomo: gli Stati in crisi economica pensano a tutt’altro che a candidarsi.
L’unica città che ha ottenuto un guadagno netto dai Giochi sembra essere Barcellona, che li ha ospitati nel 1992. La città ha assistito a un boom turistico che l’ha portata dal tredicesimo al quinto posto fra le mete più visitate d’Europa tra il 1990 e il 2010. Ma il suo caso è eccezionale rispetto a tutti gli altri: le Olimpiadi coincisero con un rilancio completo dell’immagine di Barcellona, punto di passaggio, ma non certo città a misura di turista, come ricorderà chi ha avuto la ventura di visitarla ai tempi della dittatura franchista. Le Olimpiadi le diedero in un sol colpo la visibilità che altrimenti avrebbe dovuto accumulare in anni e anni di gestione virtuosa.
A Roma non manca certo quella visibilità: lo testimonia il fiume di turisti che ogni giorno sfidano le carenze, i disservizi e la gestione “spesso inefficiente” del patrimonio culturale. Almeno quanto a esposizione mediatica, più che alla Barcellona degli anni ’90, Roma assomiglia a Londra o a Pechino. Nell’estate 2012, quando la capitale del Regno Unito ha ospitato i Giochi, il totale dei turisti è diminuito: lo UK Office for National Statistics ne ha censiti 6 174 000, contro i 6 568 000 dello stesso periodo dell’anno precedente. Durante i Giochi di Pechino 2008, il numero dei turisti nella capitale cinese è calato addirittura del 30%.
Quel che Londra ha perso in turisti, però, lo ha guadagnato in orgoglio: “Un sondaggio del 2012 della BBC riportava che l’80% degli intervistati si sentiva, dopo i Giochi, ‘più fiero di essere britannico’”. Ma può bastare questo a riportare il bilancio in attivo?
Come si misura il valore economico dell’orgoglio? Spesso con la valutazione contingente, un metodo basato su sondaggi in cui si chiede ai cittadini quanto sarebbero disposti a pagare per avere – o per non perdere – qualcosa che non si può vendere o comprare, e che quindi non ha prezzo. Studi del genere sono stati condotti a Londra, e il valore del “beneficio psicologico” è stato calcolato intorno a 2 miliardi di sterline.
Peccato che le Olimpiadi a Londra siano costate 18 miliardi di dollari le entrate per la città siano state solo 3,5 miliardi. Quindi i 2 miliardi di beneficio psicologico non riescono a giustificare razionalmente gli oltre 14 miliardi di deficit rimasto.
Alla fine dell’articolo, la conclusione della Bitetti è impietosa: “Vista la situazione delle finanze pubbliche italiane, si tratta di una vittoria che possiamo tranquillamente lasciar perdere”.
Va detto che non tutta la comunità accademica la pensa allo stesso modo. Sempre dalle colonne di Econopoly le replica Beniamino Piccone, docente di Sistema finanziario presso l’università Carlo Cattaneo di Castellanza. Numeri a parte, scrive Piccone, Roma 2024 avrebbe potuto essere un’occasione per “dimostrare che gli italiani sono in grado di organizzare una grande manifestazione”. I Giochi si sarebbero potuti pensare “anche in modo diverso rispetto alle altre Olimpiadi”:
Bisognava cogliere l’opportunità per pensare a delle Olimpiadi con meno cemento possibile, utilizzando gli impianti esistenti, compresi quelli realizzati per le Olimpiadi invernali di Torino.
Piccone riprende la proposta di Ricky Levi di un’edizione “nazionale” dei Giochi, con le competizioni distribuite fra le città d’Italia che già ospitano impianti adatti. Critica duramente l’opposizione assoluta dei militanti M5S, che paragona a dei “Signor NO, come il notaio di Mike”. E per chiudere cita Alex Zanardi, “atleta simbolo del ‘niente è impossibile’”:
Dire no per il timore che qualcuno possa mangiarci sopra è come alzare bandiera bianca senza neanche provarci.
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