Drone con bandiera, risse, invasioni di campo: a Belgrado è accaduto di tutto
Ormai è diventato un caso politico internazionale: le immagini del drone svolazzante nello stadio del Partizan durante la temuta partita Serbia-Albania (a proposito, impedirne il sorteggio nello stesso girone come per Spagna e Gibilterra no??) con tutto il bailamme che ne è seguito hanno fatto il giro del mondo ma sembra solo il detonatore di una delle tante, troppe questioni irrisolte che tappezzano lo scacchiere delle relazioni tra Stati.
Il drone con la bandiera della “Grande Albania”
Serbia-Albania, sospesa al minuto 42 del primo tempo e mai più ripresa, è solo l’ultima puntata in ordine di tempo di una lunga teoria di vicende calcistiche (e non solo, ma il calcio rimane lo sport che offre la maggior visibilità ad improvvisati “patrioti” di ogni risma) che vedono uno stadio ostaggio di rivendicazioni che nulla hanno a che fare con lo sport ma che hanno l’effetto di trasformare un impianto sportivo in uno ‘sfogatoio pubblico’ dove tutto è permesso, persino invadere un campo brandendo una sedia.
Il calcio più famoso in Croazia: quello assestato da “Zvone” Boban
Tra gli invasori in campo spunta pure una sedia
Uno dei più emblematici esempi di queste ‘relazioni pericolose’ tra sport e politica lo avevamo avuto proprio in un’altra città dell’ex Jugoslavia, Zagabria, quando il 13 maggio 1990 lo stadio della locale Dinamo Zagabria, il Maksimir, divenne teatro di scontri feroci tra i Bad Blue Boys (ultrà della Dinamo, croati) e i Delije (quelli della squadra ospite, la Stella Rossa, serbi) con il fattivo contributo della polizia. Anche in quel caso un’immagine fece il giro del globo: Boban, futuro asso milanista, che colpiva un poliziotto con un calcio volante, stile karate. Il centrocampista divenne l’icona di un’intera generazione di nazionalisti croati. Quella partita, si disse con un pizzico (ma non di più) di enfasi, funse da detonatore della guerra d’indipendenza croata.
La bandiera che inneggia al Kosovo autoctono
La tensione che divide, da tempo immemore, serbi e albanesi presenta caratteri un pò diversi (il Kosovo, vero motivo del contendere e oggetto della bandiera sventolata dal drone, non è contiguo all’Albania) ma l’humus in cui affonda le radici non è molto dissimile: le ragioni di una pretesa “Grande Albania” contro quelle di una “Grande Serbia” con il Kosovo, territorio amministrato dall’Onu e autoproclamatosi indipendente nel 2008 ma non riconosciuto tale dalla Serbia (così come da altri Stati) che lo considera una sua provincia autonoma e dalla composizione etnica mista (ma quella albanese è in nettissima maggioranza rispetto a quella serba), al centro delle attenzioni.
Ma tant’è, la frittata è stata fatta e le dichiarazioni del giorno dopo rese dai politici serbi e albanesi testimoniano come si sia molto lontani da un’auspicata riconciliazione. “Un’azione organizzata con l’obiettivo di colpire la stabilita’ in Serbia e nell’intera regione“, la definizione che il premier serbo Aleksandar Vucic ha voluto dare a quanto accaduto nello stadio del Partizan. “Le intenzioni degli estremisti albanesi erano di mostrare la Serbia come un Paese intollerante dinanzi alle diversità. Attendo ora la reazione della UE ai cui rappresentanti qui a Belgrado solo tre ore prima della partita avevo detto che gli albanesi stavano preparando delle provocazioni e un grosso incidente“, ha proseguito il premier serbo.
Il premier albanese Edi Rama
Sull’altra sponda, quella albanese, il premier Edi Rama non ha speso parole più distensive, anzi: “Uno spettacolo vergognoso. I nostri vicini hanno fatto una figuraccia davanti a tutto il mondo“, ha dichiarato Rama via Twitter. Di sicuro non è stato un bel vedere, tra le tante altre cose, “ammirare” nuovamente le gesta di Ivan Bogdanov, detto “Ivan il terribile”, tristemente assurto agli onori della cronaca per aver determinato la sospensione di Italia-Serbia a Genova nel 2010. In molti si saranno chiesti perchè, scontata la sacrosanta galera (11 mesi di carcere, ndr), gli si consenta ancora di frequentare gli stadi.
Ivan “il terribile” Bogdanov, nostra vecchia conoscenza
Tacendo delle voci circolate insistentemente su un presunto arresto addirittura del fratello di Edi Rama, Olsi, ritenuto dai serbi il “manovratore” del drone. In realtà, pare che Olsi Rama, insieme ad altri tre albanesi, sia stato trattenuto dalla polizia locale per circa 40 minuti prima che le accuse cadessero e venisse rilasciato.
Caroselli albanesi lungo tutti i balcani
Intanto, l’Uefa ha deciso di aprire un’inchiesta sull’accaduto e la semplice ipotesi di una pesante sanzione a danno della Serbia con conseguente vittoria a tavolino dell’Albania ha scatenato scene di giubilo e caroselli lungo tutta Tirana. Scene simili si sono verificate anche a Pristina, capitale del Kosovo, e nel settore albanese (a sud) di Kosovska Mitrovica con l’aggravio che lì, separati da un ponte, nel settore nord della città ci sono numerosi residenti serbi che potrebbero non gradire ma che, al momento, pare non abbiano reagito.
In tutto questo sarebbe ancora in agenda per la prossima settimana la visita ufficiale di Edi Rama a Belgrado. La prima di un premier albanese in terra serba dopo 68 anni di gelo.
Lo sport come strumento di superamento delle barriere e di unione ha, dunque, fallito la propria mission? Il colore e il calore, appassionato ma composto, che ha popolato i nostri palazzetti durante i Mondiali femminili di volley suggeriscono che una realtà alternativa e più civile esiste già. Il problema sembra, quindi, circoscritto al solo calcio dove, salvo poche isole felici (come l’Inghilterra del dopo-hooligans), gli stadi sono frequentati, almeno in parte, da individui che si improvvisano portatori di istanze (politiche o ideologiche o basate sull’appartenenza etnica) che sono, per loro stessa natura, divisive. Basterebbe svuotare gli impianti calcistici da costoro e riportare sugli spalti le famiglie. Cioè chi vuole vedere atleti che giocano a calcio. Non a fare la guerra.
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