Fu un incontro sorprendente che gli cambiò la vita. La vera storia del fotografo del National Geographic Loren McIntyre, che si perse in una remota area del Brasile nel 1969, è stata descritta nel libro “The Encounter – Amazon Beaming” e portato in scena lo stesso anno (2016) al Barbican Centre di Londra.
Da venerdì 15 maggio e fino alle 23 di venerdì 22, lo spettacolo “The Encounter”, registrato dal vivo nel teatro londinese è visibile direttamente sul sito della compagnia teatrale inglese Complicité, fondata nel 1983 da Simon McBurney. Si tratta di una rappresentazione molto particolare non solo per l’argomento che tratta, ma soprattutto per la modalità con la quale è stato realizzato. Primo e unico caso al mondo, al pubblico in sala, così come a quello da casa, viene chiesto di indossare delle cuffie per seguire al meglio il sonoro. Il progetto utilizza infatti la tecnica audio binaurale, una versione più sofisticata di stereofonia, che riesce a trasmettere all’ascoltatore la tridimensionalità dell’ambiente in cui i suoni si verificano, come se effettivamente lo spettatore fosse lì presente.
In questo spettacolo l’attore e regista Simon McBurney porta in scena il libro “The Encounter – Amazon Beaming” di Petru Popescu, che ripercorre l’incredibile storia del fotografo del National Geographic Loren McIntyre che nel 1969, seguendo i membri della tribù dei Mayourana, si ritrovò perso nella remota valle Javari, lungo il confine tra Brasile e Perù. Fu così costretto a rimanere a lungo nel loro villaggio e la sua vita cambiò per sempre.
McBurney ripercorre quel viaggio nelle profondità della foresta pluviale amazzonica e, grazie alla tecnologia audio innovativa, ricostruisce per gli spettatori un mondo mutevole di suono, che li catapulta direttamente sulle rive del Rio delle Amazzoni.
La motivazione che ha spinto la compagnia a rimettere on-line lo spettacolo non è solo quella di rimanere in contatto con il proprio pubblico, in un periodo in cui i teatri sono chiusi, ma è soprattutto quella di sensibilizzare la popolazione mondiale sull’enorme pericolo che in epoca di pandemia da Covid 19 stanno correndo le popolazioni indigene. McBurney è ambasciatore della ONG Survivor International che dal 1969 si occupa di difendere le popolazioni delle tribù primitive di tutto il mondo. Si tratta di circa 400 milioni di persone, ossia circa il 5% degli esseri umani sulla terra. Depositari della nostra cultura arcaica e strenui difensori della biodiversità, gli indigeni dei vari continenti sono ormai gli unici individui in grado di convivere in maniera armonica con la natura. La loro sopravvivenza è già a rischio in tempi normali: le loro terre fanno gola a speculatori senza scrupoli, tagliatori di alberi, cercatori d’oro e pietre preziose; il loro diritto di rimanere legati alle proprie tradizioni è costantemente messo in discussione da missionari fanatici. Ma è da quando si è diffuso il Covid 19 che le organizzazioni che li tutelano hanno scelto di aumentare il livello di allarme. E’ risaputo che la lunga assenza di contatto con il resto della popolazione mondiale ha reso le loro difese immunitarie incapaci di combattere malattie che per noi non sono più pericolose; a ciò va aggiunta l’impossibilità di accedere alle medicine, se non a quelle naturali, e l’assenza nei loro territori di cliniche e medici in grado di curare il virus. Il primo grido di all’erta è stato lanciato dall’ISA (Socio-Environmental Institute), che sta monitorando la diffusione del virus tra le popolazioni indigene del Brasile: agli inizi di aprile un giovane ragazzo di 15 anni, Alvanei Xirixana, uno Yanomami del villaggio di Rehebe, nella zona del fiume Uraricoera, è morto dopo 21 giorni nell’ospedale di Boa Vista, dove è emersa la sua positività al Covid 19. A preoccupare, da subito, è stata la modalità del contagio: assai probabilmente il giovane è entrato in contatto con alcuni degli operai che abitano gli accampamenti minerari e che entrano illegalmente in territorio amazzonico per dedicarsi all’estrazione di metalli preziosi e oro. Così c’è chi teme un genocidio come quello avvenuto all’epoca dei conquistadores spagnoli, in cui fu l’arrivo della popolazione bianca a portare malattie e morte.
La FAO e le Nazioni Unite hanno immediatamente preso posizione e invitato tutti i Governi mondiali a contribuire all’opera di salvaguardia delle popolazioni indigene presenti sul pianeta includendo le loro esigenze e priorità specifiche nelle politiche di contenimento del COVID 19. Ma in alcune regioni più esposte al rischio, è necessaria una maggiore pressione internazionale, come ad esempio in Amazzonia, dove è chiara la vulnerabilità delle popolazioni originarie che vivono in Brasile. Non è un mistero che da quando Jair Bolsonaro è al potere, la salvaguardia degli Indios e della foresta amazzonica è in serio pericolo, è infatti sua volontà rimuovere il vincolo di salvaguardia della più grande foresta pluviale al mondo e aprire vaste aree ai privati per sfruttare le ricchezze del sottosuolo. Per questo ha sottratto al ministero dell’Ambiente la competenza sul settore trasferendola alla vicepresidenza e ha iniziato una lenta erosione delle risorse finanziarie e umane sia dell’Ibama (Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse rinnovabili) che del Funai (Fondazione nazionale dell’Indio).
Non bastasse il presidente brasiliano si è da subito distinto per l’incapacità e la superficialità con cui non ha gestito un’emergenza che sta portando l’intero Paese sudamericano a registrare un altissimo tasso di contagi e di morti. In ragione di questo il fotografo brasiliano Sebastião Salgado, insieme all’inseparabile moglie Lélia Wanick, hanno presentato sulla piattaforma Aavaz una petizione che in pochi giorni ha riscosso l’interesse di oltre 200mila persone, tra i primi firmatari molte personalità del mondo della cultura e dell’arte: dall’artista cinese Ai Weiwei all’architetto inglese Norman Foster, dagli attori americani Meryl Streep e Brad Pitt alla presentatrice Oprah Winfrey, dai musicisti Paul McCartney, Madonna e Chico Buarque fino ai registi Oliver Stone e Pedro Almodovar.
Il fotografo chiede direttamente ai tre poteri dello Stato Brasiliano di impegnarsi per evitare un genocidio rimarcando il fatto che: “Queste popolazioni indigene fanno parte della straordinaria storia della nostra specie. La loro scomparsa sarebbe una tragedia estrema per il Brasile e un’immensa perdita per l’umanità.”
Al momento però l’appello sembra non aver sortito alcun effetto e così l’unica difesa rimasta per le popolazioni indigene è quella di ritirarsi il più possibile all’interno dei propri territori, come fecero i loro antenati secoli fa, ed evitare ogni ulteriore contatto con le cosiddette società civilizzate.
Elisa Rocca
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