Finalmente si vota. Calati i riflettori su una campagna referendaria che sarebbe più opportuno chiamare per quello che è stata, una brutale campagna elettorale senza esclusione di colpi, domenica ci recheremo alle urne. Quello di fare previsioni non è il compito di chi scrive, ma farne oggi è veramente azzardato. Per tutti. Un lavoro inutile prima ancora arduo. E questo, sia per la complessità delle ragioni politiche istituzionali ed emozionali che hanno visto l’un contro l’altro armati – premier, governo, opposizioni, partiti, sindacati, costituzionalisti, semplici cittadini – sia per il fatto che gli indecisi, soprattutto nell’elettorato del centrodestra sono tantissimi: uno su quattro. E siccome la partita si giocherà sul filo di qualche punto percentuale, la sorpresa è dietro l’angolo.
Ma una cosa va detta: per vedere tanta rabbiosa contrapposizione tra il fronte del sì e quello del no bisogna andare indietro nel tempo, alle elezioni politiche del dopoguerra quando la partita era tra il sì ed il no a blocchi contrapposti che allora si rifacevano agli schieramenti della guerra fredda. Anche allora le parole d’ordine erano più o meno le stesse: libertà, garanzie istituzionali, legge truffa, lotta per la democrazia e per la permanenza o meno nell’area occidentale.
Oggi la discriminante è la riforma del titolo quinto della Costituzione. Materia da maneggiare con cura, come la nitroglicerina per il fronte del no, riforma da portare avanti, magari migliorata, per quelli del Si che considerano la Carta non un feticcio ma qualcosa da adeguare ai tempi e alle aspettative di quanti vogliono cogliere nella legge votata dal Parlamento un chiaro segno di discontinuità rispetto al passato, soprattutto con l’archiviazione del bicameralismo perfetto e del bilanciamento dei poteri camerali.
Ma il confronto referendario alla fine, e non poteva essere altrimenti, si è trasformato in un plebiscito pro o contro il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Un po’ colpa dello stesso premier che, per usare le sue parole, ha voluto “metterci la faccia”. Ma molto anche per iniziativa di quanti, con l’appuntamento di domenica, hanno voluto il redde rationem, la resa dei conti politici con lui ed il suo governo.
Ora discutere se sia giusto o meno accettare questo terreno di scontro non ha più ragion d’essere, domenica saranno i cittadini a decidere e così sapremo sul serio come potrà e se dovrà cambiare il Paese. Ma, soprattutto, sapremo se c’è davvero un “deficit di democrazia” come sostiene l’eterogeneo e contraddittorio fronte del No, “l’accozzaglia” come l’ha definita Renzi, o se al contrario dalle urne dovesse uscire battuta una coalizione che sembra rivendicare piuttosto un deficit di partitocrazia per sé e per il futuro dei nostri figli.
Negare che la riforma voluta da Renzi e votata dal parlamento sia una legge zoppa e confusa è fuori dubbio. E a partire da lunedì, qualora il governo dovesse restare al suo posto, Renzi farebbe bene a rimetterci le mani, magari facendo precedere questo lavoro da una rapida riforma dell’Italicum. Questa promessa nei giorni scorsi gli ha consentito di sfilare dal conto dei pentiti come Bersani e dei nostalgici alla D’Alema, la sinistra del Pd che si riconosce in Cuperlo e anche nello stesso Prodi, il padre dell’Ulivo, che in assenza di “aperture” politiche non avrebbe mai fatto una dichiarazione di pubblica adesione alle ragioni e al fronte del Sì.
La partita dunque resta aperta ma un’ultima considerazione va fatta, sul fronte del No e su una sua possibile quanto tutt’altro che scontata vittoria. È difficile pensare che da uno schieramento fatto da comunisti, post-comunisti, grillini, berlusconiani, destra sociale, arrabbiati con o senza titolo di destra, sinistra e quant’altro, subito dopo il voto, possa scaturire qualche proposta comune. Tutti hanno scaldato i muscoli ed acceso i motori per puntare ad un unico obiettivo, quello delle elezioni anticipate da fare nella prossima primavera sulla pelle di un presidente del Consiglio che tutti, senza distinzione, vorrebbero seppellire, con l’unico scopo di ritornare in gioco.
E forse è proprio qui il punto debole di questo braccio di ferro. Se proprio dovrà essere voto politico, sia. Ma nell’urna a questo punto dobbiamo essere consapevoli che si voterà anche per le risposte che dobbiamo dare ai problemi del Paese e alle richieste di una Ue matrigna, non proprio generosa ed imparziale con noi, nel momento in cui, a fatica, stiamo cercando di uscire dal tunnel di una crisi economica che una eventuale battuta d’arresto politica non farebbe che rilanciare alla grande.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy