La nuova Confindustria si schiera al fianco del governo Renzi sulla riforma costituzionale. Per il neopresidente Vincenzo Boccia, alla sua prima uscita pubblica da numero uno di viale dell’Astronomia, il “traguardo” – superare il bicameralismo perfetto – è “a portata di mano”. Ma l’economia italiana “non è in ripresa” – quella in atto è solo “una risalita modesta” – e il sistema industriale deve adattarsi al “nuovo paradigma economico”.
Boccia – salernitano, 52 anni, figlio d’arte, ex vicepresidente nazionale dei Giovani imprenditori – è stato proclamato presidente nell’assemblea privata di ieri, dopo aver battuto Alberto Vacchi nelle votazioni di fine marzo.
L’Italia, dice il neopresidente, “deve poter giocare un ruolo all’altezza della sua storia e dell’Europa che sogniamo”. E questo “ci obbliga a proseguire con forza sulla strada delle riforme”. Più della firma degli estensori, allora, conta il contenuto: “Non conta chi le fa, ma come sono fatte”. D’altra parte “non può esistere un capitalismo moderno senza una democrazia moderna, senza istituzioni moderne”.
Solo così possiamo tornare ad essere un Paese autorevole, capace di dialogare alla pari con gli altri. A Bruxelles come in ogni sede istituzionale.
“Vogliamo – sintetizza Boccia – che non ci sia più contrapposizione tra istituzioni e imprese”. Anche questo rende un Paese “moderno” e “civile”.
L’atteggiamento di Confindustria nei confronti del referendum si deciderà “nel Consiglio generale convocato per il 23 giugno”: lo stesso giorno in cui la Gran Bretagna deciderà sul Brexit, mentre in Italia le elezioni amministrative saranno passate in giudicato. In ogni caso, Boccia ha rivendicato che la federazione degli imprenditori “si batte fin dal 2010 per superare il bicameralismo perfetto e riformare il Titolo V della Costituzione”.
Con soddisfazione, oggi, vediamo che questo traguardo è a portata di mano.
La presa di posizione di Confindustria arriva a 24 ore dalle indicazioni in senso contrario della CGIL. Il documento del Comitato direttivo pubblicato ieri condanna l’“impropria polarizzazione” del dibattito sulle riforme, e la “dichiarata volontà di fare del referendum confermativo un banco di prova per l’operato complessivo del governo”, che i vertici del sindacato di Susanna Camusso trovano “in contraddizione con lo spirito che dovrebbe caratterizzare ogni intervento di modifica della Costituzione”. La CGIL, però, non ha ufficialmente invitato i suoi iscritti a votare no: si limiterà a “promuovere un’informazione di massa e momenti di confronto per favorire una scelta partecipata e consapevole”.
All’assemblea era presente una nutrita delegazione del Governo: ben sette ministri, tra cui quello dei Beni culturali Dario Franceschini e quello dello Sviluppo economico Carlo Calenda, anche lui fresco di nomina (occupa da due settimane il posto che era della dimissionaria Federica Guidi), che hanno parlato dal palco.
Hanno incassato le lodi di Boccia all’“azione dei governi italiani, soprattutto quello in carica”, nel promuovere una politica di bilancio “non più restrittiva” in tutta Europa. Ma il presidente di Confindustria ha approfittato della ribalta per chiedere “manovre di qualità”, che non creino “nuovo deficit”. Tutto il contrario della maggiore flessibilità che l’esecutivo ha chiesto, e ottenuto, dalle istituzioni UE.
“Nella gestione del bilancio pubblico”, continua a spiegare Boccia, “non chiediamo scambi né favori”:
Chiediamo politiche per migliorare i fattori di competitività. Proponiamo un programma certo, da realizzare in quattro anni. Certezza e stabilità sono fondamentali per creare aspettative positive.
Le previsioni sulla crescita, però, non lasciano troppo spazio all’ottimismo. “La nostra economia – ha detto oggi Boccia – è senza dubbio ripartita, ma non è in ripresa”:
È una risalita modesta, deludente, che non ci porterà in tempi brevi ai livelli pre-recessione. Le conseguenze della doppia caduta della domanda e delle attività produttive sono ancora molto profonde.
Come aiutarla? Il neopresidente suggerisce di “spostare il carico fiscale, alleggerendo quello sul lavoro e sulle imprese, e aumentando quello sulle cose”. La riduzione dell’IRES dal 2017 è “ottima”, ma “non basta”: bisogna “abbattere le aliquote” con una “revisione degli sconti fiscali”. Lo Stato, poi, dovrebbe pensare a potenziare il bonus ricerca, rinnovare il “superammortamento” sugli investimenti e fare ancora più attenzione a non violare i regolamenti UE, una condotta che “verrebbe sanzionata dai mercati”.
Filippo M. Ragusa
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