Wài, dalla Thailandia il gesto di saluto che non contamina

Con lo sguardo e la mente proiettati verso la fase 2, stanchi e nervosi di una reclusione che sta appesantendo il nostro fisico e peggiorando i rapporti personali, familiari e sociali, cominciamo a pensare al nuovo approccio per quando incontreremo amici e conoscenti. Come li saluteremo, dal momento che terrorizzandoci ci dicono che niente sarà più come prima? Niente abbracci, né baci, né strette di mano? Dobbiamo assolutamente pensare ad un escamotage.
I tibetani mostrano la lingua per salutare le persone, ma sono anche soliti unire le loro mani e posizionarle sul petto per mostrare che “vengono in pace”.  Le Filippine non possono venirci in aiuto perché lì è usanza salutare le persone anziane vengono prendendo la loro mano e posizionandola sulla propria fronte, chinandosi dinnanzi a loro. Questo gesto viene chiamato “Mano” e dimostra rispetto e riverenza.
Il Giappone invece potrebbe essere preso ad esempio: le persone si salutano tra di loro con un inchino di ampiezza e durata dell’inchino variabili a seconda della persona che si sta salutando. Anche il saluto indiano può essere promosso dal punto di vista igienico: le persone si salutando con l’Añjali Mudrā. Le mani vengono unite tra loro come in preghiera, posizionate davanti al cuore e viene pronunciato il celebre saluto: “Namaste”.
Ma spostiamoci in Thailandia. Qui non ci si da la mano in segno di saluto e gli abbracci non rientrano nella tradizione. Ogni volta che ci si incontra, si entra in un negozio o in qualsiasi altro locale, oppure si partecipa a un incontro sociale, le mani giunte in preghiera (wài, appunto) davanti al viso, un leggero inchino e un sorriso sintetizzano la gioia per l’incontro. Potrebbero diventare un nuovo codice di relazione in tutto il mondo, specialmente ora che in Italia si comincia a pensare a una ripresa della vita, anche di relazione, in cui il distanziamento sociale rimarrà una delle regole del nostro quotidiano.

Il wài è osservato quando si entra in una casa e dopo che la visita è finita, ed è anche un modo comune per esprimere gratitudine o per scusarsi. Dagli anni ’30, epoca in cui fu coniato, rimane a tutt’oggi una parte estremamente importante del comportamento sociale tra i thailandesi.

Il wài, come il namaste indiano appartiene alla famiglia dei saluti pranamasana o dei mudra anjali. Un mudra è un gesto simbolico o rituale tipico dell’induismo e del buddhismo. Mentre alcuni mudra coinvolgono l’intero corpo, la maggior parte vengono eseguiti con le mani e le dita. Un mudra è un gesto spirituale, un sigillo di energia impiegato nell’iconografia e nella pratica spirituale delle religioni lontane. Mudra significa “sigillo” o “segno”. Anjali è il sanscrito traducibile con “offerta divina”, “gesto di rispetto”, “benedizione”, “saluto”.

Il gesto viene utilizzato sia per saluti che per addii, ma porta un significato più profondo di un semplice ciao o di un arrivederci. L’unione delle palme connette gli emisferi sinistro e destro del cervello e unifica collegando il praticante con il divino in tutte le cose. Quindi, eseguire il wài vuol dire onorare sia ciò che è in sé che nell’altro e il gesto riconosce la divinità sia del praticante che del ricevente.

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