“Alle 14.45 vado dai carabinieri ad autodenunciarmi per ‘l’aiuto al suicidio’ di Fabo”. Lo aveva annunciato questa mattina Marco Cappato, dell’Associazione Coscioni, sul suo profilo Facebook, confermando così l’intenzione espressa ieri, subito dopo la morte assistita del dj italiano, appena 40enne, rimasto gravemente menomato nel 2014 a seguito di un incidente stradale. E così, puntuale, ha fatto questo pomeriggio.
L’autodenuncia del radicale che ha accompagnato Fabo a morire in Svizzera “sarà valutata sotto tutti i profili giuridici, compresa la giurisprudenza della Cedu, in materia di diritti”: così ha spiegato il Procuratore generale di Milano Francesco Greco, precisando anche che il fascicolo verrà assegnato, quando arriverà la denuncia, al pm Tiziana Siciliano, che coordina il pool ‘ambiente, salute e lavoro’.
Durante la mattinata in un’intervista a Radio24, Cappato, tesoriere dell’associazione che porta il nome del politico radicale morto nel 2006 per sclerosi laterale amiotrofica, ha spiegato meglio le sue intenzioni: “Oggi mi autodenuncio e spero di essere incriminato e di potermi difendere in un processo. In Italia è reato l’istigazione al suicidio, ma in questo caso non c’è stata alcuna istigazione”. “Io – ha aggiunto Cappato – ho solo aiutato Fabo nella sua decisione: sabato mattina l’ho caricato in macchina con la sua carrozzella e portato in Svizzera”. Cappato si è prefisso un obiettivo, quello di “portare lo Stato ad assumersi le proprie responsabilità”. “Ora lo Stato ha due strade: o fare finta di nulla, nel senso che essendosi tutto svolto fuori dall’Italia fa finta di non sapere niente – ha dichiarato – oppure incriminarmi e io spero che lo faccia”.
Quindi ha richiamato i principi costituzionali di libertà e responsabilità fondamentali “che sono più forti di un codice penale scritto in epoca fascista”. Cappato, parlando ai cronisti prima di entrare in caserma, ha chiarito infatti che nel codice penale “non si fa alcuna differenza tra l’aiuto a un malato che vuole interrompere la propria sofferenza e lo sbarazzarsi di una persona di cui ci si vuole liberare, mentre la Costituzione questa differenza la fa”. Secondo Cappato, “se i malati terminali potessero bloccare stazioni e strade per settimane, come altri hanno fatto, la legge sull’eutanasia l’avremmo avuta 40 anni fa”.
Della legge sull’eutanasia si discute da 10 anni, fin dalla morte di Piergiorgio Welby, altro attivista radicale. Spenti i riflettori sul caso, in Parlamento nulla è successo. Il 7 dicembre scorso la Commissione affari sociali della Camera ha approvato all’unanimità una proposta sul testamento biologico che impone il “rispetto della volontà del paziente”. Ma la regolamentazione del “fine vita” è ancora lontana dall’essere discussa e approvata.
In ogni caso, se Fabo è morto grazie all’aiuto di qualcuno (era cieco e tetraplegico, ndr) che ha dovuto avvicinare alla sua bocca, perché lo mordesse, lo strumento che avrebbe liberato la sostanza mortale, “l’attuale legge in discussione alla Camera non lo avrebbe mai consentito. La morte di Fabo è stata la provocazione voluta dai radicali per rimettere la morte al centro del dibattito pubblico, ma la spettacolarizzazione di questo triste evento non facilita affatto l’approvazione della legge attualmente in discussione, considerata troppo leggera, ma rivela la strategia di chi pretende una legge direttamente ed esplicitamente aperta all’eutanasia. E questo obbliga il legislatore ad agire ancor più con prudenza. Sarebbe drammatico se un fraintendimento di quanto accaduto a Fabo, spingesse a credere che a legge approvata, in Italia diventa possibile, in modo automatico, ricorrere al suicidio assistito, o più precisamente all’omicidio del consenziente”: lo ha dichiarato l’on. Paola Binetti, psichiatra, cattolica, ospite di Unomattina. La psichiatra, cattolica, in politica è impegnata a tutto tondo nella promozione e la difesa dei valori correlati alla tutela della vita in tutte le sue fasi, la promozione della famiglia attraverso l’integrazione con il lavoro professionale e l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
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