«Radio Radicale non nacque per essere “la radio del Partito Radicale”, quanto piuttosto tentare di dimostrare concretamente, attraverso un’opera da realizzare, come i Radicali intendono l’informazione. Creare un dato emblematico, in maniera sostanziale e non astratta, di quello che il servizio pubblico dovrebbe fare». Massimo Bordin, che l’ha diretta dal 1991 al 2010, lo puntualizzò in un’intervista del 1997. Oggi, quella voce storica rischia di essere messa a tacere per sempre.
La prima radio italiana a occuparsi esclusivamente di politica con tanto di riconoscimento da parte del Governo italiano come “impresa radiofonica che svolge attività di informazione di interesse generale”, da 40 anni (è nata tra la fine del 1975 e l’inizio del ’76) trasmette in diretta le sedute del Parlamento e segue le attività di tutte le istituzioni, dalla Corte Costituzionale al Consiglio Superiore della Magistratura, i più grandi processi giudiziari e le più importanti attività culturali e sociali. Negli ultimi 20 anni questo è stato possibile grazie a una convenzione con lo Stato italiano.
Ora però, il Governo ha deciso che dal 21 maggio la convenzione non sarà rinnovata. Mancano pochi giorni per convincere il Governo a rivedere la sua decisione.
“Il diritto alla conoscenza è un diritto fondamentale affinché il cittadino possa farsi liberamente una opinione e non sia condizionato da una informazione distorta e di parte”: è l’appello di Radio Radicale ai suoi affezionati ascoltatori. Intanto perché l’emittente nata alla fine del 1975 per iniziativa di un gruppo di militanti radicali che la misero su con attrezzature di fortuna e contenutissimi costi di produzione, ha introdotto importanti innovazioni nel panorama informativo italiano: la rassegna stampa dei giornali, i “filidiretti” con gli ospiti politici, i programmi di interviste per strada e le trasmissioni per le comunità immigrate in Italia. Ma l’appello si estende a tutti i cittadini, perché è un fatto di democrazia salvare una fonte che rifiutando il termine “controinformazione” (assai di moda negli anni ’70) ha saputo dimostrare come concretamente potesse essere realizzato un servizio pubblico di informazione, alternativo a quello sostanzialmente monopolista svolto dalla RAI. Nell’intenzione dell’editore la scelta della denominazione “Radicale” che la radio assunse era da riferirsi non tanto alla funzione di organo di quel partito, quanto piuttosto a una linea di politica editoriale che come tutti oggi riconoscono, è sempre stata in grado di garantire imparzialità, professionalità e innovazione, divenendo un modello di servizio pubblico radiofonico. Il modello d’informazione politica adottato è stato da subito totalmente innovativo, garantendo l’integralità degli eventi istituzionali e politici trasmessi: nessun taglio, nessuna mediazione giornalistica e nessuna selezione, al fine di permettere agli ascoltatori di “conoscere per deliberare”, come ancora oggi scandisce la frase di Luigi Einaudi sul sito internet dell’emittente www.RadioRadicale.it.
Radio Radicale ha una convenzione con lo Stato, per trasmettere tutte le sedute del Parlamento. Il costo del servizio è di dieci milioni all’anno, a condizione che la radio non trasmetta pubblicità. Da undici anni il contratto viene rinnovato di anno in anno, cosa che non agevola gli investimenti e le strategie di crescita della radio. Con l’approvazione del maxiemendamento alla manovra, dal 2019, il costo del servizio scenderà a 5 milioni, la metà. Non è facile rivedere business plan e mantenere sotto controllo i costi, con la metà delle entrate. Inoltre Radio Radicale percepisce anche 4 milioni dalla legge 230/1990 con cui lo Stato finanzia le imprese radiofoniche private che trasmettono «quotidianamente propri programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterari per non meno di nove ore comprese tra le ore sette e le ore venti». L’intera legge sarà abrogata dal 2020. Altre finanze che verranno quindi a mancare alla storica emittente radiofonica.
La petizione al presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stata lanciata da Renato Goretta, imprenditore ligure, rappresentante regionale al Consiglio Centrale Piccola Industria, che a beneficio della sua battaglia specifica che:
“Salvare Radio Radicale deve essere una missione per tutti perché è un enorme patrimonio di democrazia e libertà. Radio Radicale fa molto di più che seguire i lavori delle Aule di Camera e Senato: fa entrare i microfoni nelle commissioni, registra le audizioni, i processi, le inaugurazioni dell’anno giudiziario, i congressi di partito, i convegni sindacali, le sedute del Consiglio superiore della magistratura, della Corte dei Conti, presentazioni di libri. Ma non solo: l’Osservatorio giustizia, il Rovescio del Diritto, le Rassegne stampa (internazionale, geopolitica, africana, cinese, vaticana, ecc.). La mitica Stampa e Regime, Radio carcere e molto altro. E poi il più importante archivio audio nazionale (377.848 registrazioni, ndr) . E tutto dentro ma fuori dal Palazzo”.
Alessandra Binazzi
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