«I will», il sì reale di William e Kate è rimbalzato da Londra in un evento planetario seguito da oltre due miliardi di persone. Lei, la ex commoner, plebea, piccola borghese, figlia di una hostess e di una steward Catherine Elizabeth Middleton, ha pronunciato il suo giuramento di rito omettendo alcune piccole paroline di sapore medievale, promettendo fedeltà, per esempio, ma non obbedienza al principe secondo in successione al trono d’Inghilterra. Dalla lettura del libro delle preghiere comuni (il testo base della comunione anglicana che ha una storia lunga 349 anni essendo stato promulgato da Carlo II nel 1662) il reverendo Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury, ha chiesto agli sposi di leggere la formula dell’unione matrimoniale.
Tradizione vuole che la sposa pronunci tre parole, tre verbi: love, cheerish e obey (amare, curare teneramente e obbedire). E proprio obey, l’ultimo vincolo, è stato omesso da Kate. Lui, William, in uniforme rossa, da colonnello delle Irish guards, ha rifiutato di volere al dito la fede nuziale che la sposa, invece, indosserà realizzata con oro del Galles, estratto da una miniera da cui provengono tutte le fedi della Famiglia reale. Si è consumato così in un tripudio di cappellini di tutti i colori, con Londra impazzita, e con lo sguardo incuriosito di milioni di persone il matrimonio del secolo nella splendida cornice dell’abbazia di Westminster. Ultima sequenza permessa alle telecamere di tutto il mondo: il saluto dal balcone di Buckingam Palace prima che sull’evento storico calasse il sipario. Il resto è stato goduto dai vip, noti o meno, dai reali di tutto il mondo, dalle personalità politiche invitate nei ricchi saloni del palazzo reale. Si dice che siano stati distribuiti più di 10mila tartine, otto piani di torta nuziale e champagne Pol reserve Brut. Oltre i vetri fan impazziti, transennati, con persone assiepate e costrette di fronte ai maxi schermi, nelle strade, nell’attesa di riuscire a vedere un ultimo fotogramma, un’ultima scena di una favola mediatica composta da una regia perfetta, da una coreografia puntuale che non ha tralasciato alcun dettaglio. Come per l’ingresso di Elisabetta II alle nozze del nipote come si conviene ad una regina giunta per ultima in cattedrale, naturalmente prima della sposa. E chi aveva scommesso sul giallo ha avuto di che compiacersi. Giallo canarino è stato il colore scelto dalla sovrana anche se quello a cui si è assistito è stato davvero un tripudio di cappellini. Fin dalle prime ore della mattina di una strana calda giornata di sole londinese gli invitati, oltre 1900, hanno cominciato a prendere posto all’interno dell’abbazia. Un’abbazia in cui per tutti ha aleggiato ancora il fantasma mai dimenticato di Lady D.
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