«Allo stadio ci sono andato da babbo, e ora da babbo sento il dovere di far sì che il calcio possa tornare a essere un gioco, e non un’occasione di guerra fra bande». Il premier Matteo Renzi, a neanche 48 ore dalla giornata di terrore e vergogna vissuta a Roma, ha voluto esprimere tutto il suo disappunto per l’accaduto e ha preannunciato una linea di assoluto rigore da parte del Governo.
Le sue parole sono quelle di una persona profondamente scossa, prima e più ancora che quelle di un presidente del Consiglio ma, al contempo, decise.
Renzi, presente sabato sera nella Tribuna Autorità dell’Olimpico, accompagnato da moglie e figli, ha voluto stigmatizzare l’accaduto ma senza cavalcare l’onda dell’emotività del momento.
«Voglio far passare le elezioni perché è da sciacalli buttarsi su quello che è successo quando c’è un ragazzo che sta male. Non mi interessa prendere voti in questo modo. Se qualcuno lo vuol fare, lo faccia. Io non ci sto. Lascio passare le elezioni, lascio finire il campionato e poi, tra luglio e agosto, pensiamo a come restituire il calcio alle famiglie», la premessa del ragionamento del presidente del Consiglio.
Una reazione ferma, quindi, ma ponderata.
La riflessione di Renzi inizia da una constatazione semplice quanto amara: «In Inghilterra avevano problemi più grossi di noi, eppure ce l’hanno fatta. Negli Stati Uniti si perde una finale per un punto contestato eppure tutto finisce con una grande festa. Perché non ce la dovremmo fare noi?».
Quindi, la ricetta, che, secondo il premier, dovrà necessariamente contemplare tanto il bastone quanto la carota: «Non solo educazione ma sarà necessaria anche la coercizione. In un Paese civile Genny la carogna, con quella maglietta lì, non sta in curva, sta dentro. Sabato, e troppe altre volte come sabato, abbiamo visto lo stadio come un luogo dell’impunità. E la cosa forse più sconvolgente è stato vedere i giocatori che andavano a parlare con i capi delle tifoserie».
Renzi è consapevole che il nodo cruciale è quello di riuscire a recidere i legami che rendono molte società calcistiche ostaggio di frange di ultras sotto la costante minaccia di ritorsioni. Ed è conscio che si tratta di un’operazione affatto semplice. Questa consapevolezza traspare chiaramente quando il premier afferma che: «Hanno tolto dalle curve gli striscioni, alcuni dei quali erano anche divertenti, salvo poi far entrare quello che abbiamo visto lanciare sabato sera dagli spalti. Non ci sono dubbi che questo deve finire. Comporterà la rottura con certi ambienti delle tifoserie organizzate? Vorrà dire che romperemo.
Certo tutto questo richiederà molti interventi. Anche stadi nuovi. Non è il momento di parlarne. Ma quando finisce il campionato, ci metteremo al lavoro. Sono convinto che il calcio sia un luogo da cui può ripartire la convivenza civile del nostro Paese».
Molto appassionato e sentito il passaggio dell’intervista in cui Renzi si sofferma sul valore unificante dell’inno di Mameli e sulla portata oltraggiosa di fischi che hanno fatto il giro dell’etere.
«Ormai da alcuni anni, diciamo con il presidente Ciampi e poi con Napolitano, nelle scuole l’inno nazionale è tornato ad avere un’importanza che ai miei tempi era andata perduta. Per i bambini, l’inno è una cosa sacra, una cosa bella. Me ne rendo conto tutte le volte che vado in visita alle scuole. Per questo sabato sera i bambini sono rimasti amareggiati nel sentire tanta gente che fischiava. Anch’io ero amareggiato».
Renzi ha anche voluto chiamare personalmente la vedova di Filippo Raciti, profondamente ferita dalla scritta apparsa sulla maglietta di Genny ‘a carogna, per porgerle le doverose scuse da parte di tutte le istituzioni.
Che alle parole si voglia far seguire i fatti e che non si tratti di un mero decalogo di buone intenzioni appare evidente quando il presidente del Consiglio chiarisce l’episodio che lo aveva visto, sabato sera, allontanarsi momentaneamente dagli spalti: «Qualcuno ci ha detto: andiamo via tutti, non si può stare in uno stadio che fischia l’inno della nostra patria. Ma siamo rimasti, perché noi, a quella gente, il calcio non glielo lasciamo».
Facile pronosticare che per i Genny ‘a carogna et similia la vita sarà molto più dura.
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