5 su 5, en plein! Nella settimana di coppe europee che la Juve aveva aperto con il benaugurante (ma ancora poco rassicurante, visto l’esiguo margine) successo sul Borussia nella Champions, le altre cinque formazioni impegnate nella meno nobile e spesso colpevolmente snobbata Europa League hanno concluso le fatiche internazionali del nostro calcio nel migliore dei modi. Segno di una decisa presa di coscienza del nostro calcio: anche la seconda competizione europea merita il massimo impegno e, data un’occhiata al ranking e un’altra al portafoglio (rischiare di veder ulteriormente ridotto il nostro contingente in Champions non conviene proprio a nessuno e anche i soldini dell’ex Coppa Uefa possono far comodo), si è capito che non era più il caso di fare gli schizzinosi.
Sulla carta (quindi a dicembre, in sede di sorteggio), Roma, Inter e Napoli partivano tutte chiaramente favorite, grande incertezza accompagnava l’impegno della Fiorentina con l’insidioso Tottenham, mentre il solo Torino sembrava dover salutare la compagnia, ma più per le suggestioni evocate dalla dolorosa eliminazione patita dal Napoli nei preliminari di Champions contro l’Athletic Bilbao e per dover affrontare il retour match nel catino infernale del nuovo “San Mamès” che non per un’oggettiva superiorità dei baschi. All’atto pratico, invece, i sedicesimi appena conclusi si sono rivelati una delle pagine più fulgide della nostra storia pedatoria recente. E ora, con tutte e cinque le nostre rappresentanti ancora in lizza, Varsavia sembra meno lontana.
Il Napoli, già maramaldo in Turchia (un eloquente 0-4 aveva ben chiarito i reali rapporti di forza), non poteva certo perdere la trebisonda al S.Paolo e si è limitato ad un rilassante allenamento agonistico concluso con un 1-0, a firma di De Guzman, senza alcun pathos.
L’Inter, reduce da tre vittorie consecutive in campionato (serie ancora aperta), ma anche da un rocambolesco 3-3 nel match d’andata del Celtic Park che aveva fatto storcere la bocca a più d’uno, dimentico, forse, dell’inestimabile valore di un pareggio con reti fuori casa (soprattutto in “quella casa”), ha confermato i molti difetti, ma anche i parecchi pregi di una squadra che Mancini sta cominciando a conoscere e, forse, a curare. I nerazzurri (ieri tutti azzurri, per la verità, nell’ennesimo tentativo di “assassinio dei propri colori sociali”) dietro sbandano che è un piacere, soprattutto dalle parti di Juan Jesus. E non che Ranocchia stia attraversando uno dei picchi della propria carriera. Ma davanti producono occasioni e hanno giocatori che sanno far male. Come Guarìn che da qualche tempo ha ritrovato il gusto per le bordate da distanze siderali. Guardacaso, con Icardi, uno dei più contestati giocatori della Beneamata. Fin quando il Celtic è stato in 11, però, certi timori e tremori si sono avvertiti nitidi. Una squadra in convalescenza avanzata ma non ancora guarita del tutto.
La Fiorentina, forte dell’ottimo 1-1 di Londra (dove, ad un primo tempo da dimenticare, aveva fatto seguito una ripresa spumeggiante, ricca di promesse e di qualche rimpianto), è stata più brava del Tottenham a capitalizzare le situazioni favorevoli (marchiano l’errore di Soldado a tu per tu con il redivivo Neto, lucidissimo nel rimanere in piedi, non meno del collega viola Mario Gomez, freddo nel trovare il fondo del sacco dopo un’entusiasmante cavalcata solitaria) e poi, grazie anche ai lampi di classe cristallina di Salah, ha legittimato la propria superiorità per il 2-0 finale. Un punteggio all’inglese per confezionare una bella lezione ai sudditi di Sua Maestà.
La vera impresa del giovedì, comunque, porta la firma del vecchio cuore Toro, capace di battere forte anche in quella Bilbao che nessuna squadra italiana aveva mai profanato. E qui le premesse per un felice esito non c’erano proprio: il 2-2 dell’Olimpico, infatti, non faceva presagire nulla di buono. Ma gli uomini di Ventura hanno sfoggiato la loro miglior prestazione stagionale giocando senza alcun timore reverenziale di fronte ad un pur arrembante Athletic. Ne è scaturita una partita ad altissimo ritmo e dagli elevati contenuti spettacolari. Laddove altri avrebbero risposto all’aggressività basca con una difesa ad oltranza, i granata hanno avuto il merito di rispondere colpo su colpo. Il 3-2 finale porta la firma di Quagliarella (su rigore), Maxi Lòpez e di un Darmian, insolitamente efficace anche sotto misura. Una notte da incorniciare.
Un capitolo a parte lo merita la Roma, impegnata a Rotterdam in una notte in cui è accaduto veramente di tutto. Compreso il ritorno al successo degli uomini di Garcia, ormai da tempo avvezzi a mancare il risultato pieno. I tanto temuti incidenti non ci sono stati (un solo tifoso romanista è stato arrestato e, viste le premesse, è anche andata bene), ma il pubblico del Feyenoord ha trovato comunque modo di “esprimere” la propria esuberanza all’interno del De Kuip, prima provocando Gervinho con ululati e la solita banana gonfiabile e poi prendendo di mira il direttore di gara, il francese Tupin, reo di aver esagerato nello sventolare il rosso sotto il naso dell’attonito Te Vrede, già in evidente imbarazzo nel dover rilevare il compagno di linea Kazim Richards, l’autore del pari all’andata, infortunatosi a metà primo tempo. Dagli spalti è piovuto di tutto, ombrelli compresi. Inevitabile, la sospensione dopo che Tupin aveva già avvertito il caldo pubblico di casa. Non il clima ideale per una partita di tale importanza ma era prevedibile. Un ulteriore merito della Roma, quello di aver saputo gestire, anche se con qualche sbavatura di troppo, una situazione ambientale incandescente a dispetto della pioggia battente.
Sotto il profilo tecnico, che la Roma fosse superiore al Feyenoord era cosa risaputa, nonostante l’1-1 dell’Olimpico, ma l’inizio dei giallorossi non era stato dei migliori, in palese sofferenza di fronte al pressing asfissiante degli olandesi. Gli imbarazzi romanisti duravano però solo per dieci minuti, poi, al primo affondo, lo svarione della difesa biancorossa metteva subito in chiaro le cose: alla Roma, visti gli evidenti limiti tecnici degli olandesi già in avvio di fraseggio, sarebbe stato sufficiente avanzare il baricentro e giocare con ordine per arrivare a bussare alla porta di Vermeer. Che si apriva, però, solo in pieno recupero grazie alla battuta sotto misura di Ljajic, miglior marcatore stagionale della Roma, a quota 9 centri stagionali. La ripresa ruota attorno all’episodio dell’espulsione della punta di scorta olandese: alla ripresa del gioco, infatti, il Feyenoord tentava il tutto per tutto inserendo anche il promettente Manu che aveva un impatto immediato sulla gara, profittando di un buco centrale imbarazzante della difesa giallorossa per l’1-1 che riaccendeva le speranze della “vasca” (soprannome del De Kuip). Qui i maggiori meriti della Roma che, pur sbandando, trovava la forza per mettere il silenziatore agli entusiasmi di giocatori e tifosi olandesi: cross basso di Torosidis per Gervinho che giustiziava Vermeer da pochi passi. Da qui in poi, però, tornavano a galla anche i vecchi difetti: la squadra di Garcia perdeva campo, arretrava troppo e subiva la reazione, più d’orgoglio e di nervi che non di lucidità, della squadra di Rutten. Ma il punteggio non sarebbe più cambiato.
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