Strage razzista a Charleston, nello stato USA del South Carolina. In una chiesa simbolo delle lotte per i diritti degli afroamericani, un suprematista bianco libero su cauzione ha sparato all’impazzata sui fedeli riuniti per una lettura serale della Bibbia.
Nell’attentato sono morte nove persone: otto sul colpo, mentre l’ultima vittima è deceduta in ospedale. Il numero dei superstiti è ancora imprecisato, ma uno di loro dovrebbe essere un bambino di cinque anni, che si sarebbe salvato fingendosi morto.
Teatro della strage è la Emanuel African Episcopal Methodist Church, costruita ai primi dell’Ottocento dal gruppo fondato da due pastori di colore dopo essere usciti dalla Chiesa metodista in segno di protesta contro la segregazione razziale nei luoghi di culto e nei cimiteri.
Vittima dell’attentato è rimasto anche Clementa C. Pinckney, il pastore che aveva organizzato la serata di lettura e preghiera. Noto per la sua militanza politica a favore dei diritti delle persone di colore, Pinckney faceva parte del senato dello stato del South Carolina nelle liste democratiche. Era stato il più giovane deputato di colore eletto alla camera dei rappresentanti statale. È rimasta coinvolta nell’attentato anche sua sorella, che era in chiesa con lui al momento della sparatoria, ma le sue condizioni non sono state rese pubbliche.
L’attentatore è stato identificato: è Dylann Storm Roof, un suprematista bianco di 21 anni. Nei suoi confronti è partita la caccia all’uomo.
A inchiodare Roof, che è libero su cauzione per accuse legate al traffico di stupefacenti, sono le immagini delle telecamere di sicurezza all’ingresso del luogo di culto: è entrato circa un’ora prima di compiere l’attentato.
Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, avrebbe sparato con un’arma che gli è stata regalata per il ventunesimo compleanno. L’attentato si è svolto secondo un copione premeditato: una donna è stata lasciata in vita proprio per raccontare l’accaduto al mondo. Non è ancora chiaro se Roof abbia agito da solo o con la collaborazione di altri.
Che si trattasse di un hate crime, un delitto motivato dall’odio identitario, in questo caso razziale, era apparso evidente da subito visti il valore simbolico del luogo e l’identità delle vittime. Greg Mullen, il capo della polizia cittadina, aveva dichiarato di non avere “alcun dubbio” già nella prima conferenza stampa.
La Casa bianca è dello stesso avviso: sull’accaduto il Dipartimento della giustizia ha avviato un’indagine federale affidata all’FBI.
“Questi fatti in altri Paesi avanzati non succedono“, ha commentato il presidente Barack Obama, facendo riferimento alla facilità con cui l’attentatore si è procurato l’arma del delitto. “Troppe volte ho dovuto commentare l’uccisione di innocenti perche’ qualcuno non ha avuto problemi a procurarsi una pistola”.
La lotta contro la diffusione delle armi da fuoco è da sempre uno dei cavalli di battaglia dell’amministrazione Obama. La campagna però si scontra con il sentimento, diffuso nell’opinione pubblica, che le armi permettano ai cittadini di difendersi da qualsiasi eventuale pericolo, e ha riportato scarsissimo successo.
Lo scorso aprile, nei dintorni di Charleston, un poliziotto bianco di nome Michael Slager aveva ucciso un uomo di colore di nome Walter Scott sparandogli alle spalle.
Slager sosteneva che Scott gli avesse sottratto il Taser e avesse intenzione di usarlo contro di lui. Il video girato da un passante, però, raccontava una storia diversa. Era stato il poliziotto a usare lo strumento elettrico contro il civile, che stava tentando di scappare. Non essendo riuscito a fermarlo, Slager gli sparò otto colpi alle spalle, uccidendolo, e poi mise in scena l’arresto ammanettando il corpo esanime.
La pubblicazione del video, che convinse gli inquirenti a incriminare Slager per omicidio premeditato, aveva riacceso le polemiche sul trattamento diverso che le forze dell’ordine USA sono accusate di riservare alle minoranze, e il senatore Pinckney aveva partecipato in prima persona alla mobilitazione.
Filippo M. Ragusa
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