A Londra è partito il conto alla rovescia: fra dieci giorni, giovedì 23 giugno, gli elettori del Regno Unito andranno alle urne per il referendum sul Brexit, l’eventuale uscita dalla UE.
Anche se l’esito delle consultazioni dovrà essere confermato dal Parlamento di Westminster, si tratterà di un evento storico le cui conseguenze, per forza di cose, interesseranno tutto il mondo.
Secondo i sondaggi della vigilia, si assisterà a un testa a testa tra favorevoli e contrari. I numeri pubblicati dal Financial Times, risultato dell’aggregazione di numerosi studi statistici condotti da varie fonti, vedono i filo-UE in vantaggio di un paio di punti percentuali, ma con un margine d’errore troppo ampio per formulare previsioni nette. Gli antieuropei, invece, prevalgono nei sondaggi online.
I sondaggisti britannici sono nell’occhio del ciclone per aver sbagliato clamorosamente le ultime previsioni: nel 2014 davano per vincente la secessione della Scozia, mentre nel 2015 propendevano per una vittoria del Partito Laburista di Ed Miliband contro i Conservatori di David Cameron alle elezioni politiche. Alcuni commentatori hanno ricordato che spesso, negli ultimi giorni di campagna elettorale, parecchi elettori indecisi scelgono di votare a favore dello status quo. Più degli statistici si sono sbilanciati i bookmaker, che ritengono più probabile il Remain.
Sulla formulazione del quesito e sull’impaginazione della scheda si è discusso molto negli ultimi mesi: gli elettori non voteranno “sì” o “no”, ma dovranno scegliere tra “Rimanere un membro dell’Unione Europea” e “Uscire dall’Unione Europea”, che la stampa inglese ha ridotto ai due imperativi Remain e Leave. Nel 1975 si era già votato per rimanere nell’allora CEE, e anche allora la struttura del quesito – “Ritieni che il Regno Unito debba rimanere nella CEE?” – aveva scatenato il vespaio. Per la cronaca, allora il “sì” aveva doppiato il “no”.
Il premier Cameron, che fa campagna da mesi a favore del Remain, ieri si è espresso dalle colonne del Sunday Telegraph, l’edizione domenicale del quotidiano filo-conservatore. L’eventuale Brexit “creerà un buco nero tra i 20 e i 40 miliardi di sterline nelle nostre finanze”, ha detto l’uomo di Downing Street, che costringerà il governo a “rivedere la riforma delle pensioni”. Restando nell’Unione, invece, il Regno Unito si potrebbe “proiettare verso la creazione di più lavoro, più case e più opportunità”.
Cameron è nella scomoda posizione di dover organizzare un referendum che non ha alcuna intenzione di vincere. Aveva promesso di indirlo l’anno scorso, in piena campagna elettorale, per cavalcare il sentimento antieuropeo di una parte consistente dell’elettorato. L’anno prima, alle elezioni europee, i più votati non erano stati né i conservatori né i laburisti, ma gli euroscettici a oltranza dell’UKIP di Nigel Farage.
Alle politiche, la mossa ha pagato: i Tories hanno ottenuto la maggioranza assoluta a Westminster, senza nemmeno dover stringere patti con altri partiti. Ma la questione del referendum si sta rivelando più difficile del previsto, anche dopo aver ridefinito i termini degli accordi fra Londra e Bruxelles, che daranno al Regno Unito una sorta di statuto speciale se dovesse rimanere all’interno della UE.
Sulla carta tutti i partiti britannici (UKIP esclusa) sostengono le ragioni della UE, ma l’uscita di Londra dall’Unione potrebbe fare il gioco degli indipendentisti scozzesi, che avrebbero un motivo in più per tornare a chiedere la secessione, e anche il leader laburista Jeremy Corbyn – per ragioni completamente diverse – non si esprime mai volentieri a favore di Bruxelles. Ma la preoccupazione più grande per Cameron è probabilmente la corrente pro-Brexit nata all’interno dello stesso Partito Conservatore, guidata dall’istrionico ex-sindaco di Londra Boris Johnson.
Intanto il presidente del Consiglio UE, Donald Tusk, in un’intervista alla Bild ha detto che “l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue potrebbe essere l’inizio della distruzione non solo dell’Unione Europea, ma di tutta la civiltà politica dell’Occidente”. Una sentenza netta, che esprime oltre ogni dubbio l’orientamento delle istituzioni europee ma rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio.
Nel frattempo, i timori legati al Brexit affossano le borse europee e asiatiche. Nel vecchio continente Milano perde il 2,4%, trascinata in basso dalle vendite di titoli bancari, ma anche Madrid (-1,55%), Parigi (-1,38%) e Francoforte (-1,28%) non se la passano meglio. In flessione più decisa le borse orientali: Tokyo -3,5%, Shanghai -3,2%, Shenzhen addirittura -4,7%. Londra perde meno (-0.65%), ma la sterlina continua la corsa al ribasso sul dollaro – ha toccato il punto più basso da due mesi a questa parte – e l’oro vola: ha raggiunto la quotazione di 1280,50 dollari l’oncia, più 20% rispetto all’inizio dell’anno.
Filippo M. Ragusa
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy