Sale la tensione fra Turchia e USA dopo il fallito colpo di Stato militare ad Ankara. Intanto in tutto il Paese proseguono le epurazioni volute dal presidente Recep Tayyip Erdogan fra i sostenitori del suo ex-alleato, ora acerrimo rivale, Fethullah Gulen.
Il Segretario di Stato USA John Kerry ha chiesto “con fermezza” al presidente turco di impegnarsi per mantenere “la calma e la stabilità in tutto il Paese” rispettando “le istituzioni democratiche della nazione e dello Stato di diritto”. La sua voce si aggiunge al coro inaugurato dalla Cancelliera federale tedesca Angela Merkel, che già sabato lo aveva esortato a non cedere alla tentazione della vendetta di massa. Ma tutti i segnali che arrivano dalla Turchia fanno pensare che Erdogan voglia cogliere l’occasione per liberarsi di interi settori dello Stato che ostacolano le sue ambizioni.
All’indomani del tentato golpe sono stati rimossi dal loro incarico ben 2745 giudici e quasi seimila militari, mentre sono quasi novemila i dipendenti del ministero dell’Interno arrestati dopo il tentato golpe: trenta prefetti (su un totale di 81), 47 governatori provinciali, quasi ottomila agenti di Polizia e 614 della Gendarmeria. Ma dell’ondata di purghe hanno fatto le spese anche 2745 giudici rimossi dal loro incarico, alcuni dei quali sono stati messi agli arresti.
Più “sultano” che mai, Erdogan ha puntato immediatamente il dito contro quella che chiama “l’organizzazione terroristica di Fethullah Gulen”, l’influente ex-predicatore – capo di un impero economico e mediatico – che era suo alleato fino al 2013, prima di diventare il suo peggior nemico politico e di autoesiliarsi in America.
Il ministro del Lavoro Suleyman Soylu, citato dalla BBC, ha accusato apertamente gli USA di essere i mandanti del golpe. “Insinuazioni” fondate su “sospetti totalmente falsi”, secondo Kerry. Ma senza spingersi fino a questo punto, il governo di Ankara imputa a Washington di proteggere Gulen, più nello specifico di non volerlo estradare in Turchia.
“Se gli Stati Uniti sosterranno” Gulen, ha detto il ministro della Giustizia Bekir Bozdag all’agenzia Anadolu, “questo danneggerà la loro reputazione”. E ha aggiunto: “Non penso che continueranno a proteggere una persona del genere”. Kerry ha ribattuto che il suo governo non è contrario per principio all’estradizione dell’ex imam, ma non ha ancora ricevuto “né la richiesta formale né le prove”. La richiesta dovrà “arrivare tramite i canali legali” ed essere corredata da “vere prove, non accuse”, in grado di reggere nel giudizio per l’estradizione.
Molti sostenitori di Erdogan chiedono di reintrodurre la pena di morte, abolita nel 2004 durante i negoziati preliminari per aderire alla UE. È stato uno degli slogan scanditi più spesso nelle manifestazioni di questi giorni, come quella che ha raggiunto la sua casa a Istanbul.
Se Ankara tornasse ad applicare la pena capitale, il negoziato con Bruxelles si bloccherebbe: lo ha detto Steffen Seibert, portavoce della Merkel. Ma anche in questo caso, Erdogan sembra intenzionato ad assecondare – e coltivare – quel che gli chiedono i suoi. “Non possiamo ignorare questa richiesta”, ha detto ai funerali di Erol Olcak, suo amico ed ex consigliere per i media, ucciso dai golpisti insieme al figlio a Istanbul: “In democrazia bisogna fare qualsiasi cosa dica il popolo”.
“Non penso che il mondo possa credere alle accuse del presidente Erdogan”, ha ribattuto Gulen dalla Pennsylvania, dove vive. Ha anche ripetuto un sospetto che negli ultimi giorni si è sentito spesso, in Turchia e sui giornali stranieri: “C’è la possibilità che il colpo di Stato in Turchia sia stato una messa in scena per continuare ad accusare i miei sostenitori”.
Fermo restando che ad affermazioni straordinarie devono corrispondere prove straordinarie, non c’è dubbio che dal caos di venerdì notte Erdogan sia uscito saldamente al comando del gioco. Ora “è molto più forte”, commenta Antonio Ferrari, del Corriere della Sera: “Magari spera di avere i voti per cambiare la Costituzione, e trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale”.
Diversi commentatori, come lo stesso Ferrari, hanno notato che il tentato golpe è arrivato pochi giorni dopo la svolta in politica estera annunciata dall’esecutivo di Binali Yildirim, un fedelissimo di Erdogan che ha preso il posto di Ahmet Davutoglu. In rapida successione, la Turchia ha seppellito l’ascia di guerra contro Israele, chiesto scusa alla Russia e riabilitato il presidente siriano Bashar al-Assad, lo stesso Assad rispetto al quale, ai tempi di Davutoglu, l’ISIS era ufficialmente considerato il male minore. Tutto questo, argomenta il giornalista, avrebbe messo i militari in “stato di agitazione”.
Ad accendere la miccia sono stati dei veri golpisti, che in questo caso avrebbero sopravvalutato molto il proprio potere, o invece gli stessi sostenitori di Erdogan? È presto per dirlo e mancano prove schiaccianti a favore dell’una o dell’altra ipotesi. Wikileaks promette scintille: “Preparatevi per uno scontro”, ha twittato oggi l’organizzazione di Julian Assange, “perché pubblicheremo oltre centomila documenti sulla struttura del potere politico della Turchia”.
F.M.R.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy