La Corte costituzionale ha detto sì al cognome materno per i figli nati nell’ambito del matrimonio. Ha infatti “accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello di Genova sul cognome del figlio” e dichiarato “l’illegittimità della norma che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa volontà dei genitori”.
La Consulta ha dichiarato incostituzionale l’automatica attribuzione del cognome paterno, quando i genitori intendono fare una scelta diversa. La Corte costituzionale ha così accolto la questione di legittimità sollevata dalla Corte di appello di Genova sul cognome del figlio di una coppia italo-brasiliana. La coppia voleva infatti aggiungere a quello paterno, anche il cognome materno.
“Una sentenza giusta”: questo il primo commento alla decisione dei giudici costituzionali da parte della psicologa dell’età evolutiva e componente del Comitato Onu per i Diritti dei Bambini Maria Rita Parsi, che sottolinea come il verdetto della Consulta sia «rispettoso dei diritti delle donne e dei bambini. In questo modo – osserva – viene riconosciuta l’indiscutibile origine, il ”punto di partenza” di ogni vita: la madre. È l’affermazione della piena parità tra il padre e la madre all’interno di una famiglia». Soddisfatta anche la deputata di Forza Italia Elena Centemero, presidente della Commissione Equality and non Discrimination del Consiglio d’Europa, che parla di «passo in avanti verso il completo superamento degli ostacoli che ancora si frappongono ad una piena e totale parità di genere nel campo lavorativo, economico, sociale e anche familiare».
La decisione della Consulta segna una svolta, visto che risale a quasi 40 anni fa la prima proposta in Parlamento per poter dare ai figli il cognome della madre. La Consulta si era già occupata del tema nel 2006 con una sentenza che definì l’attribuzione automatica del cognome paterno un “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”, “non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”. Trattando un caso simile a quello della coppia di Genova, anche qui si chiedeva di sostituire il cognome materno a quello paterno, in quell’occasione i giudici, dichiararono inammissibile la questione sottolineando come spettasse al legislatore trovare una soluzione normativa al problema. Un auspicio finora rimasto sulla carta, dal momento che le Camere non hanno finora varato alcuna norma sul tema. La sentenza rientra tra le decisioni che i giuristi definiscono di «costituzionalità accertata ma non dichiarata». In pratica, per salvaguardare il principio di continuità dell’ordinamento giuridico, la Consulta scelse allora di rinviare, di fatto, la pronuncia di illegittimità costituzionale, per dar tempo al legislatore di agire. Inutilmente, data l’inerzia del Parlamento.
Dal 2006, però, il quadro giuridico di riferimento è cambiato parecchio, al punto che i giudici della Corte d’Appello di Genova hanno ritenuto venuto il tempo di un nuovo intervento della Consulta. Le tappe più significative di queste evoluzione sono un’ordinanza della Cassazione del 2008 (rimessione alle sezioni unite per una eventuale interpretazione della norma o un rinvio alla Consulta), l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (vieta ogni discriminazione fondata sul sesso) e una condanna all’Italia della Corte di Strasburgo del 2014 per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per la mancanza, nel nostro ordinamento, di una deroga all’automatica attribuzione del cognome paterno.
A distanza di dieci anni, l’ultima decisione della Consulta rilancia dunque il problema dei ritardi del legislatore su un tema di attualità: dopo il via libera della Camera nell’estate 2014, il ddl sul doppio cognome ai figli è fermo in commissione Giustizia al Senato. Il relatore Sergio Lo Giudice (Pd) ha però annunciato la presentazione a breve di un nuovo testo base, con modifiche alle norme approvate da Montecitorio e basate, in sintesi, sulla possibilità per i genitori di assegnare al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di Stato civile alternativamente, il cognome del padre, quello della madre o di entrambi. L’ordine è quello concordato dai genitori o, in caso di mancato accordo, in ordine alfabetico.
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