A Roma, durante l’età regia, una veggente di nome Amaltea offrì a Tarquinio il Superbo l’acquisto di nove libri che raccoglievano testi oracolari scritti in lingua greca. Secondo la donna si trattava di papiri importanti per il futuro della città, libri dove erano scritti fati e rimedi di Roma. Il Re la ascoltò con attenzione perché Amaltea non era una veggente qualunque, ma (secondo Virgilio) la sacerdotessa di Apollo, meglio nota come la Sibilla Cumana.
Il titolo di Sibilla Cumana spettava alla somma sacerdotessa dell’oracolo di Apollo situato nella città di Cuma, in Campania, ove vaticinava in una grotta conosciuta come “l’Antro della Sibilla”, situata nei Campi Flegrei. Qui la sacerdotessa trascriveva in esametri i suoi vaticini su foglie di palma le quali, alla fine della predizione, erano mischiate dai venti dell’antro, rendendo i vaticini “ Sibillini”. Amaltea, pretendeva per questi libri una cifra ragguardevole : trecento Filippi d’oro. Il re Tarquinio davanti a tale somma sconsiderata rifiutò l’offerta. La donna se ne andò e per rabbia ne bruciò tre.
Dopo non molto tempo Amaltea ritornò alla corte del Superbo ma venne derisa e stimata stolta perché nonostante i libri si fossero ridotti, lei chiedeva la cifra di prima. Egualmente il re rifiutò l’offerta e allora la donna bruciò la metà dei libri rimasti. Al terzo tentativo il re impressionato dal comportamento della donna e colpito dalla stranezza che i libri rimasti fossero solo tre mentre il prezzo restava invariato, fece chiamare gli Auguri ai quali chiese come doveva comportarsi. I sacerdoti romani gli dissero che egli aveva scacciato un bene mandato dagli dei e predissero sciagure perché non aveva comprato i libri, infine lo esortarono a comprare gli oracoli che rimanevano. Ascoltato ciò, il Superbo mandò a chiamare Amaltea e decise di darle quanto aveva chiesto. La donna consegnò i libri rimasti, raccomandandosi che venissero conservate e difese con ogni cura quelle istruzioni atte a fronteggiare le crisi future del popolo romano. Detto questo, all’improvviso Amaltea sparì per sempre.
Il re Tarquinio non poteva immaginarlo, ma si trattava dei “Libri Sibillini”, una raccolta di papiri, una straordinaria miscellanea il cui contenuto rispecchiava dottrine profetiche orientali miste a quelle della cultura ellenistica. Sta di fatto che da allora quegli oracoli vennero consultati e condizionarono i romani in tutte le circostanze nefaste, di fronte a prodigi spaventosi, o eventi minacciosi verso Roma.
Tra le molte volte in cui vennero consultati i Libri Sibillini (e di cui abbiamo le cronache) la più famosa riguarda Giulio Cesare. Nel febbraio del 44 a.C., Cesare intendeva marciare contro la Partia e aveva definitivamente rifiutato un’offerta dell’autorità regia. Ma prima di partire chiese di consultare i Libri Sibillini. Una frase dello strano responso venne interpretata che i Parthi sarebbero stati sopraffatti solamente se i romani fossero stati guidati da un re. Cesare, che sapeva quanto fosse invisa ai romani l’autorità di un re, trovò allora una soluzione: avrebbe marciato contro la Parthia come un re, quindi avrebbe portato il titolo di re non a Roma, ma solo nelle province e negli stati clienti. Probabilmente si trattava di un piano studiato da Cesare o dai suoi amici per procurargli il titolo di re.
I libri sibillini furono affidati a due illustri patrizi che in seguito furono aumentati fino a quindici, di cui cinque plebei scelti come rappresentanti del popolo. Venivano consultati davanti ad episodi nefasti per evitare di contrariare gli dei con nuove imprese. La consultazione avveniva solo in circostanze di estrema gravità, autorizzata con tutte le cautele del caso. Il potere dei libri sibillini era enorme, se sapientemente manipolati ed interpretati ( cosa che spesso avvenne) potevano indirizzare e condizionare politicamente la macchina dello Stato.
I libri vennero conservati in uno scrigno di pietra e custoditi in una camera scavata nei sotterranei del tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio, ma dopo qualche secolo andarono distrutti nell’incendio dell’ 83 a.C.. Prima Silla, poi Ottaviano ne promossero una nuova raccolta e fu il secondo che collocò i testi nel tempio di Apollo sul Palatino. I Libri Sibillini vennero consultati fino al 363 d.C. al tempo dell’imperatore Giuliano l’Apostata. Dei Libri Sibillini si sono perse le tracce, si sa solo che nel 408 per ordine del generale Stilicone, i libri vennero bruciati perché pagani. Ma probabilmente si trattava di libri diversi, difatti già allora venivano fatti circolare Libri Sibillini compilati da cristiani e da ebrei per spingere la società romana nella direzione da essi desiderata.
Fabio Longhi de Paolis
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