Il Roland Garros, autentico “campionato del mondo sulla terra battuta” ( definizione impropria, non esistendo ufficialmente, nel tennis, un singolo torneo che possa fregiarsi di tale etichetta) è entrato nel vivo. E lo fa con due Italiani sugli scudi. Nel momento in cui questo articolo viene scritto, Fabio Fognini ha già concluso la sua avventura parigina. Francesca Schiavone, per fortuna, ancora no e può, quindi, proseguire nella sua gioiosa e un po’ folle corsa verso un bis che, solo alla vigilia, veniva ritenuto un autentico azzardo, vista anche la condizione non certo ottimale mostrata al Foro Italico nel match perso in modo molto netto con la futura finalista, l’autraliana Samantha Stosur.
La milanese, dopo aver superato senza particolari problemi i primi tre turni lasciando le briciole a Oudin, Dolonts e Peng ( agevolata, in quest’ultimo caso dal ritiro della cinese), ha compiuto il suo primo grande passo sulla strada verso la riconferma del titolo negli ottavi contro la forte serba Jelena Jankovic. Il match si presentava irto di difficoltà, sia per la grande forza, in valore assoluto, dell’avversaria, ex n. 1 del mondo e vincitrice di ben due edizioni degli Internazionali d’Italia, sia perché si trattava del primo vero test di livello per la “leonessa”. E, come volevasi dimostrare, di un’autentica battaglia si è trattato. Un match di straordinaria intensità emotiva e nervosa. Magari non memorabile da un punto di vista squisitamente tecnico, visto che la grande tensione in campo ha prodotto un numero considerevole di errori gratuiti da ambo i lati. Però la Schiavone ha avuto l’indubbio merito di aver sempre condotto il gioco. A costo di commettere errori di misura. A volte anche grossolani. Ma il ritmo negli scambi lo ha sempre imposto la detentrice del titolo. La Jankovic ha opposto, suo malgrado, solo la consueta grinta e solidità da fondo, pur sbagliando parecchio anche lei. Bene Francesca nel primo set, chiuso per 6-3, ma in netta difficoltà nel secondo parziale, incamerato dalla serba con il punteggio di 6-2. Nel terzo set, poi, la Schiavone sembrava poter staccare definitivamente l’avversaria, andando avanti per 3-2 e servizio, ma improvvisamente qualcosa s’inceppava nel suo tennis, fatto di grande coraggio e di un’altrettanto notevole varietà di colpi. L’ex numero 1 del mondo ne approfittava per passare avanti 4-3 e 0-30 sul servizio dell’italiana che, a questo punto, però, vistasi sull’orlo del baratro, tirava fuori la “leonessa” che è in lei e, tenendo fede al suo soprannome di battaglia, riagganciava subito la Jankovic per poi operare il break decisivo, con un tennis molto più aggressivo, e chiudere 6-4, dopo 2 ore e 38 minuti. Per certi versi ancora più emozionante il successivo quarto di finale, giocato contro la russa Pavlyuchenkova, giocatrice acerba ma già gran colpitrice. Più potente della “Schiavo”, ma meno capace di variare ritmo e rotazioni. E, soprattutto, meno abituata a gestire la pressione di un match come questo che vale l’accesso alle semifinali. Ne è scaturito un match che è stato un’autentica altalena, sia nelle emozioni che nell’andamento del punteggio. La russa iniziava dominando sino a portarsi sul 6-1, 4-1. Poi, Francesca, non avendo più nulla da perdere, lasciava andare il braccio fino a riagganciare l’avversaria per poi superarla in volata, per il 7-5 che rimandava il verdetto finale al terzo set. La milanese , sull’onda dell’entusiasmo e forte di un ritrovato timing sulla palla, volava rapidamente fino al 5-1, 15-30 sul servizio della Pavlyuchenkova. Pratica archiviata? Neanche per sogno. La giovanissima russa dimostrava proprio in questo frangente di possedere i cromosomi della futura campionessa e si riportava sotto. Sempre di più. Fino a raggiungere il 5-5. Logica avrebbe voluto, a questo punto, che la Schiavone, demoralizzata per non aver saputo chiudere il match, si consegnasse alla 19 enne col vento dell’est in poppa. Ma Francesca, una volta di più, ha confermato le sue straordinarie doti di fighter, azzerando le sensazioni negative e ricominciando a spingere come nulla fosse, fino al 7-5 conclusivo, dopo 2 ore e 34 minuti. Ora, l’attende la beniamina di casa, Marion Bartoli, numero 11 del tabellone, finalista a Wimbledon nel 2007, diritto e rovescio bimane. Proprio per queste sue caratteristiche, sarà fondamentale per la Schiavone tenere la francese il più possibile fuori dal campo. La “leonessa” ha le armi per farlo. E, non a caso, è avanti 4 a 1 nei confronti diretti. E, se così sarà, si potrebbe profilare una finale da sogno contro la bellissima del circuito, la siberiana Maria Sharapova, favorita nella sua semifinale contro la cinese Na Li, ed in gran spolvero dopo aver riportato al Foro italico la sua prima vittoria di prestigio sulla terra.
Quanto a Fognini, che dire? Beh, il ligure, arrivando ai quarti di finale, ha non solo raggiunto il suo miglior piazzamento in un torneo dello Slam, ma ha anche ottenuto un risultato che non si verificava, in casa azzurra, dal 1995 ( vi giunse Renzo Furlan che lì si fermò, sconfitto da Sergi Bruguera), e, in abbinata con il quarto della Schiavone nel tabellone femminile, addirittura dal 1949 ( vi giunsero, in quell’occasione, gianni Cucelli e Annelies Ullstein Bossi). L’impresa, Fabio, l’ha compiuta certamente nel suo ottavo contro l’esperto spagnolo Albert Montanes. Sempre indietro, sempre in rimonta, Fognini è riuscito ad arrivare al quinto set dove, dopo l’ennesima risalita da 2-5 sotto, è riuscito a prevalere 11-9 al termine di una maratona durata ben 4 ore e 22 minuti ( e ben 5 match point annullati dall’azzurro!), giocando, a causa di un evidente infortunio alla gamba, gli ultimi 4 games praticamente da fermo. Circostanza, questa, che ha mandato in confusione lo spagnolo, incapace di gestire al meglio la situazione di vantaggio che gli si era profilato. Non sempre, infatti, anzi, è così semplice giocare contro un avversario palesemente menomato. Occorre lucidità e un pizzico di cinismo. Montanes non li ha avuti. Giusto, allora, che a vincere fosse Fabio. Con buona pace del pubblico francese che si è schierato apertamente con lo spagnolo, non ritenendo autentico l’infortunio di Fognini. A torto. Difatti, il tanto agognato primo quarto della sua carriera, il ligure non lo ha potuto disputare. Avrebbe dovuto affrontare Novak Djokovic, n. 2 del mondo, ma indiscusso n. 1 della stagione corrente. Sarebbe stata una “mission impossible” , ma la soddisfazione di poter giocare un match di grandissimo prestigio sul “Philippe Chatrier”, Fabio Fognini, l’avrebbe certamente meritata.
Daniele Puppo
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