I tabelloni, sia maschile che femminile, della seconda prova del Grande Slam si sono ormai allineati all’altezza delle semifinali. In campo maschile i protagonisti saranno i primi quattro giocatori della classifica ATP ( ed, ovviamente, anche le prime quattro teste di serie del seeding). Nella parte alta si sfideranno l’attuale ( anche se, conti alla mano, prossimo all’avvicendamento in vetta al ranking in favore del n. 2, Djokovic), Rafa Nadal, e il n. 4, lo scozzese ( al massimo, britannico, non chiamatelo inglese perché la cosa lo fa arrabbiare e non poco) Andy Murray. Ma vediamo come i due duellanti sono arrivati sin qui. Nadal ha, sorprendentemente, sofferto per raggiungere un traguardo che, per uno che ha vinto questo torneo in ben cinque occasioni, e che vanta un palmarès e delle strisce di vittorie consecutive sul “rosso” che lo fanno ritenere, non a torto, uno dei più forti, se non addirittura, il più forte specialista della terra battuta di tutti i tempi ( fatte sempre tutte le dovute precisazioni del caso, dovute alla difficoltà, se non l’impossibilità, di paragonare giocatori che sono stati attivi in epoche sin troppo lontane tra loro, ma il paragone con Bjorn Borg, per capirci, regge, eccome). Nadal, dicevamo, ha iniziato stentando molto. Già al primo turno ha dovuto affrontare le insidie di un quinto set ( ed era la prima volta in assoluto che gli accadeva al Roland Garros) per aver ragione di un giocatore, lo statunitense John Isner, buono, ma non certo uno specialista di questi campi. Nell’occasione, lo spagnolo ha mostrato inedite difficoltà nella capacità di “leggere” il servizio dell’avversario, noto per la potenza della battuta (oltre che per una serie di record, tra cui il numero di aces, stabiliti nell’incredibile match contro Nicolas Mahut durante l’ultima edizione di Wimbledon, destinati, data l’eccezionalità di quella partita, a restare imbattuti per moltissimi anni, se non per sempre). Ma che Isner si aggrappasse al suo miglior colpo e ne ricavasse molti punti era nell’ordine naturale delle cose. Ciò che ha sorpreso è stata, invece, l’incapacità di Rafa di entrare con decisione nel campo per dettare il ritmo dello scambio. Si poteva pensare ad un episodio isolato e, invece, nel turno successivo, lo spagnolo ha sofferto molto più di quanto non dica il punteggio contro il non irresistibile connazionale, Pablo Andujar. Nadal ha vinto in tre set, per 7-5, 6-3, 7-6, ma quanta fatica! Oltre tre ore di gioco, un chiaro vantaggio dilapidato nel primo set e il concreto rischio di allungare ulteriormente il match al quarto set, dove è dovuto risalire da 1-5, per poi imporsi al tie-break. Sempre molto lontano dalla linea di fondo, il tennis di Nadal non poteva avere la consueta, devastante efficacia. Riusciva, però, a salvarsi facendo, comunque, appello alla sua proverbiale grinta e alla straordinaria capacità di giocare al meglio i punti importanti. Ne seguiva un match poco probante contro il modesto Veic e, quindi, una prova appena discreta, ma non certo entusiasmante, contro il croato Ljubicic. Alla vigilia del quarto di finale contro Soderling, per la prima volta, Nadal si lasciava andare a dichiarazioni addirittura preoccupanti e preoccupate circa la sua condizione: ; . All’orizzonte, minaccioso, l’unico giocatore in grado di batterlo qui a Parigi, negli ottavi del 2009 ( anche se, poi, sonoramente sconfitto nella finale dell’anno dopo). E quando anche gli inviati delle testate iberiche cominciavano a professare un certo pessimismo, se non ad intonare un vero e proprio de profundis, ecco la resurrezione. Nadal sembra di nuovo quello vero, offre una prestazione all’altezza del suo magico 2008 e rifila tre set a zero allo spauracchio svedese ( peraltro, travolgente sin lì). Problemi risolti, dunque? Forse. Probabilmente le ripetute sconfitte, ma in particolare quelle patite sull’amata terra a Madrid e a Roma ad opera di Djokovic ne devono aver minato, e non poco, la fiducia. Di certo la condizione sta crescendo, ma, allo stato, non sarebbe sufficiente per garantirgli i favori del pronostico in un’eventuale, ennesima, finale contro il serbo ( sempre vincitore, quest’anno) o anche contro un Federer che sta giocando il suo miglior tennis, senza avvertire particolari pressioni di sorta. Potrebbe essergli sufficiente, però, per aver ragione di Murray in semifinale. Lo scozzese, infatti, dopo un inizio di stagione semplicemente pessimo ( eccezion fatta per l’Australian Open di gennaio, ovviamente, dove ha raggiunto la finale), ha ricominciato ad esprimersi su ottimi livelli di rendimento. Paradossalmente, lo ha fatto sulla superficie, la terra rossa, su cui non aveva mai raccolto alcunché, palesando evidenti limiti in fase di capacità propulsiva ( sulle superfici intermedie o su quelle veloci, invece, le sue qualità di incontrista che riesce ad appoggiarsi egregiamente alla potenza del gioco avversario si sono sempre esaltate). Però, sia a Montecarlo dove ha raggiunto la semifinale impegnando fino al terzo set proprio Rafa, sia a Roma, dove è stato vicinissimo ad infrangere l’imbattibilità stagionale di Djokovic sempre al penultimo atto ( nell’occasione, è arrivato anche a servire per il match) ha mostrato progressi considerevoli. Pesa su di lui, però, l’infortunio alla caviglia accusato qui al terzo turno, contro il tedesco Berrer. Nel successivo ottavo contro l’eroe dell’ultima finale di Davis, Troicki, sembrava, infatti, destinato ad una veloce dipartita dal torneo avendo perso i primi due set. Poi, però, ha conquistato terzo e quarto set con grande autorevolezza e, di nuovo sotto 2-5 nel quinto, giocatosi nella prosecuzione del giorno dopo, ha trovato le risorse per rimontare e chiudere 7-5. Infine, il quarto di finale contro l’argentino Chela. Osso durissimo per i primi due set, vinti 7-6 e 7-5, durati ben 2 ore e 18 minuti, più arrendevole nel terzo, chiuso con un perentorio 6-2. Che dire, i due sfidanti, quanto a qualità agonistiche, sono piuttosto vicini. E si parla di livelli di assoluta eccellenza. Murray, però, non sembra ancora pronto per vincere un torneo di questa portata su una superficie che richiede grande pesantezza di palla. Nadal ( peraltro, in vantaggio per 10 a 4 negli scontri diretti) dovrebbe conservare un certo margine di vantaggio. Ma deve essere più aggressivo.Nell’altra semifinale, invece, si affrontano il n. 2, il serbo Djokovic, e il n. 3, lo svizzero Federer. Djokovic è letteralmente esploso quest’anno. Da tempo, ormai, la prima reale alternativa ai due diòscuri del tennis, dopo la vittoria in Davis, ottenuta vincendo ambedue i suoi singolari contro i francesi nel dicembre scorso, ha inanellato una serie impressionante di vittorie. Serie tuttora aperta, peraltro. E siamo arrivati a 42 vittorie stagionali su altrettanti match disputati ( 44 se si considerano anche gli ultimi due del 2010)! Ha fornito anche qui dimostrazioni di disarmante superiorità nei confronti di tutti i rivali affrontati nel corso del cammino. Compreso il match di terzo turno, disputatosi in due tappe, contro Del Potro, autentico quarto o semifinale anticipata. Nell’occasione, Djokovic ha dovuto cedere un set ( l’unico del suo torneo), ma non ha mai dato l’impressione di poter perdere la partita. Nonostante l’indubbia qualità di un avversario, in forte ripresa ma sceso in classifica a causa di gravi infortuni e capace di vincere uno US Open oltre che di fare semifinale qui due anni fa. Il serbo, oltre a rincorrere il record di 46 incontri vinti consecutivamente ( detenuto da Vilas) ha nel mirino ben altri traguardi. Il suo primo Slam al di fuori dell’Australian Open e il primato in classifica. A Parigi potrebbe fare il pieno. Straordinaria l’intensità che riesce ad esprimere sul campo, incredibile la sua mobilità ( sembra pervaso da scosse elettriche), divenuto molto più efficace con il servizio e molo più incisivo ( e meno falloso) con il diritto. A tentare di sbarrargli la strada verso cotanta gloria ci sarà il redivivo Roger Federer. L’elvetico, reduce da una stagione molto al di sotto delle aspettative e avara di successi ( con l’unica eccezione del torneo inaugurale dell’annata, a Doha, ma trattasi di un appuntamento minore), sta, però, giocando molto bene. Forse ai suoi migliori livelli. Di certo, neanche nel 2009 ( quando ottenne il suo unico successo parigino) si esprimeva così. Ma pochi lo sottolineano. Tutti concentrati sui numeri di Djokovic e sulle difficoltà di Nadal. Roger, intanto, è arrivato a questo appuntamento con le semifinali senza aver perso un solo set. Immacolato. Eppure Wawrinka, nel derby rossocrociato in ottavi, e Monfils ( anche se con nelle gambe la maratona in due giorni sostenuta contro Ferrer) nei quarti, erano avversari tosti. Probabilmente, il fatto di poter giocare senza particolari aspettative ( per carità, qui si parla di agonisti nati e tutti giocano per vincere, ma la pressione di “dover vincere sempre e comunque” non è un fardello semplice da gestire per chi si è già tolto quasi tutte le soddisfazioni possibili su di un campo da tennis), lo ha reso più sereno. E resta il giocatore che “gioca meglio di tutti”. Nella veste, per lui inusuale ma forse non tanto sgradita, di outsider, Federer potrà dire la sua anche contro Djokovic. Nei confronti diretti, il bilancio complessivo è di 13 vittorie a 9 in favore dello svizzero, ma 3 a 0 per il serbo quest’anno. Pronostico difficile. Federer potrebbe farcela se la partita non si allunga troppo, altrimenti la condizione atletica strepitosa di Djokovic farebbe la differenza.Delle semifinali femminili, Schiavone-Bartoli e Sharapova-Na Li, abbiamo, invece, già detto in precedenza.
Daniele Puppo
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