Amnesty International ha le prove: il governo del Sudan avrebbe utilizzato armi chimiche nel Darfur per ben 30 volte contro i ribelli guidata da Abdul Wahid, nella zona di Jebel Marra, causando la morte di oltre 200 persone, compresi decine di bambini.
Nel 2004 il Sudan è stata definita dalla comunità internazionale “la più grave situazione umanitaria esistente”, teatro di una guerra civile che dura da più di 40 anni tra il nord del Paese, a minoranza nomade di prevalenza araba e il Sudan meridionale, che rappresenta la maggioranza nera della popolazione di credenze cristiane animaliste e che sin dagli anni ’80 hanno visto imporsi dal Governo di Khartoum il regime della Sharia e la legge coranica.
Sul sito di Amnesty International si legge che, tramite la difficile aquisizione di testimonianze di sopravvissuti, riprese satellitari ed analisi degli esperti si è potuto stabilire che da gennaio al 9 settembre 2016, dopo l’insorgere di ribelli contro il governo di Khartoum sono stati condotti dalle forze di quest’ultimo almeno 30 probabili attacchi con armi chimiche nella zona del Jebel Marra.
È difficile trovare le parole per descrivere la dimensione e la brutalità di questi attacchi – ha affermato Tirana Hassan, direttrice della Ricerca sulle crisi di Amnesty International – Le immagini e i video che abbiamo esaminato nel corso delle nostre ricerche sono sconvolgenti: un bambino che piange dal dolore prima di morire; altri pieni di ferite e vesciche; altri ancora che non riescono a respirare o che vomitano sangue”.
La risposta armata del Sudan, avrebbe provocato solo fino ad ora 300 mila morti e due milioni di sfollati.
Non c’è modo di ingigantire la crudeltà dell’effetto che producono gli agenti chimici quando entrano in contatto col corpo umano: sostanze vietate da decenni proprio perché la sofferenza che procurano non può mai essere giustificata. Il fatto che il governo sudanese le stia usando ripetutamente contro la sua popolazione non può essere in alcun modo ignorato e richiede un’azione” ha dichiarato Hassan.
“Sono cadute molte bombe, intorno al villaggio e sulle colline – racconta una donna di una trentina d’anni che era a casa coi suoi bambini nel villaggio di Burro – La maggior parte dei miei figli si è ammalata subito dopo aver inalato il fumo: vomito, diarrea, tosse. La loro pelle è diventata nera, come se fosse stata bruciata”.
Secondo i dati raccolti dall’organizzazione internazionale, si conoscerebbero “i nomi di 367 civili, tra cui 95 bambini, uccisi dalle forze sudanesi nel Jebel Marra nei primi sei mesi dell’anno. Molte altre persone, bambini inclusi, sono morte per denutrizione, disidratazione o mancanza di cure mediche dopo gli attacchi”.
“Nessuna misura efficace è stata adottata per proteggere i civili, nonostante la presenza di una missione di peacekeeping congiunta delle Nazioni Unite e dell’Unione africana. I negoziati e gli accordi di pace non hanno dato né sollievo né sicurezza alla popolazione del Darfur. La risposta della comunità internazionale è stata finora deplorevole. Ora, di fronte a queste orribili e interminabili violazioni, non può continuare a chiudere gli occhi” – ha concluso Hassan.
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