E’ un’Italia attonita, stanca e disillusa, quella che in queste ore ha accolto la sentenza di condanna a sette anni di carcere per l’ex premier Silvio Berlusconi accusato dai giudici di Milano di concussione e sfruttamento della prostituzione. Considerato il fatto non certo trascurabile che il pronunciamento del tribunale potrebbe avere effetti devastanti sul governo e sul quadro istituzionale, le riflessioni da fare sono tante ma una prevale su tutte: quella sentenza è un pronunciamento su un grande manager ed un grande leader politico ma uomo fragile e decadente, o è piuttosto un giudizio su un Italia che non va, permeata di tante contraddizioni e ingiustizie alle prese con un crisi tremenda ed un governo che naviga a vista? Siamo sicuri che sul banco degli imputati insieme al cavaliere non sia finito anche un Paese fatto di tanti sudditi che subiscono e di tanti furbi che nel migliore dei casi hanno vissuto ben al di sopra delle proprie possibilità, magari evadendo il fisco ed eludendo gli impegni della solidarietà sociale?. Quella con la quale stiamo faceendo i conti è un’Italia egoista e sgangherata fatta di pochi fortunati e tanti replicanti menefreghisti che negli ultimi venti anni (ma potremmo spostare le lancette del tempo anche più indietro) ha visto il valore dei rapporti umani, la valenza della politica e il prestigio delle istituzioni finire sempre più in basso grazie alla difesa ad oltranza di privilegi e corporazioni che nulla hanno a che spartire con il corretto funzionamento della democrazia e della civile convivenza . Abbiamo visto lo scontro senza quartiere tra poteri dello Stato. Abbiamo visto rafforzarsi all’inverosimile le prerogative e l’arroganza dei palazzi del potere, della burocrazia e della casta dei partiti, in quest’ultima battaglia schierati in difesa o all’attacco dell’uomo forse più amato ed odiato d’Italia. Abbiamo visto, e questo è uno degli aspetti più drammatici ed eloquenti del problema, la pervicace volontà di una parte del Paese che continua a vedere nel leader della destra la fonte di tutti i mali, la personificazione del male. Del male assoluto. Stamane il Corriere della Sera parla di costoro come dei nostalgici “demolitori professionali della retorica della pacificazione” ovvero dei “cantori di una guerra civile fredda, a bassa intensità…”. Concetto difficile da non condividere chiarendo comunque alcuni aspetti fondamentali di questa vicenda. Il primo: è assodato che l’ex presidente del Consiglio non sia uno stinco di santo così come è fin troppo chiaro che ha commesso reati gravissimi per i quali era giusto indagarlo e perseguirlo ma è altrettanto palese che l’operato della magistratura nei suoi confronti non può essere giudicato certo sereno. Quanto accaduto a lui, è difficile non configurarlo come un’autentica persecuzione giudiziaria e questo ormai lo avvertono in tanti anche chi non lo vota e giudica Berlusconi per quello che realmente rappresenta: la personificazione dell’arroganza di chi pretende di non voler essere giudicato. La seconda evidenza riguarda il ruolo politico della magistratura, che in un sistema ormai corrotto e irrecuperabile dove confronto di idee e di programmi, di fatto, non esistono più, effettua incursioni sempre più pesanti e mirate. La terza considerazione riguarda l’equità dei giudizi ed il ruolo imparziale delle toghe. Siamo proprio certi che in Italia lo “stile” adottato per Berlusconi sia stato applicato nei confronti di tutti, o almeno dei più? A vent’anni da Tangentopoli siamo davvero sicuri che la spada della giustizia abbia colpito con la stessa determinazione e puntualità politici corrotti, concussori, ladri di stato, evasori, assassini, stragisti, usurai… Noi pensiamo di no, e con tante buone ragioni visto che ormai, complice il ruolo della magistratura e del Parlamento, il problema giustizia è arrivato ad un punto di non ritorno. E a questo fa da contraltare il “miracolo” Berlusconi. Per lui tutti i treni sono arrivati in stazione, puntualissimi. Meglio così. Adesso si tratta solo di capire chi, alla fine, pagherà il conto politico ed economico di questa attività giudiziara a doppia velocità. Si tratta solo di attendere.
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