Lo scandalo Petrobras fa tremare la classe politica brasiliana. Oggi l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, che si era rifiutato già due volte di rispondere agli inquirenti, è stato prelevato in casa dalla polizia per essere portato a deporre.
Le forze dell’ordine hanno perquisito l’ufficio di Lula – maestro politico dell’attuale capo di Stato, Dilma Rousseff, e del PT, il Partito dei lavoratori – e la casa dove vive a São Bernardo do Campo, un sobborgo di San Paolo.
L’ex presidente è indagato per occultamento di beni e riciclaggio di denaro nell’operazione Lava Jato (“Autolavaggio”), coordinata dal giudice Sérgio Moro, che in Brasile è diventato famoso per le inchieste scomode e dice di ispirarsi ad Antonio Di Pietro.
Secondo la polizia giudiziaria, gli indagati usavano la Petrobras, la compagnia nazionale degli idrocarburi, come collettore di tangenti da imprenditori che dichiaravano finanziamenti gonfiati. Gli inquirenti sono poi convinti che l’ex capo di Stato abbia intestato a prestanome beni come un ranch ad Atibaia, nell’entroterra di San Paolo, e un appartamento con vista sull’oceano a Guarujá. “Ci sono elementi di prova che l’ex presidente Lula abbia ricevuto denaro proveniente dallo schema interno a Petrobras”, hanno scritto in una nota trasmessa alla stampa. E dopo di lui ora trema anche Dilma Rousseff, che dirigeva il CDA dell’azienda durante la presidenza Lula.
L’ex presidente non è in stato di fermo né di arresto. Lo ha precisato in una conferenza stampa il pm Carlos Fernando dos Santos Lima. Ma nei suoi confronti è stato emesso un mandato di Condução coercitiva, simile al nostro accompagnamento coattivo, che nel diritto brasiliano si può usare per costringere a comparire in giudizio imputati, parti lese, testimoni o periti. In pratica, se anche stavolta Lula si fosse rifiutato di seguire gli agenti, questi lo avrebbero potuto arrestare. L’accompagnamento coatto, secondo Santos, sarebbe stato deciso per garantire la sicurezza totale della deposizione dell’ex capo di Stato e per evitare proteste. Quest’ultimo obiettivo è stato mancato: a São Bernardo i suoi sostenitori e i suoi oppositori sono venuti alle mani, e per riportare la calma sono dovuti intervenire agenti della polizia municipale e di quella federale.
Nel frattempo in tutto il Brasile sono stati eseguiti altri dieci fermi e 32 perquisizioni. Sono stati accompagnati in commissariato anche la moglie di Lula, Marisa Letícia, e i loro quattro figli. Chi invece ha ricevuto un mandato d’arresto è Paulo Okamoto, il presidente della Fondazione che porta il nome dell’ex presidente.
L’operazione Lava Jato è iniziata nel 2014, ma i nomi eccellenti sono iniziati ad arrivare solo un paio di settimane fa da Delcídio de Oliveira, l’ex lider del governo al Senato – posizione di ispirazione inglese, simile al nostro ministro per i Rapporti con il parlamento.
Oliveira è stato arrestato lo scorso gennaio: a suo carico prove inequivocabili che gli potrebbero costare anche trent’anni di prigione. Quando il PT si è rifiutato di assisterlo, ha deciso di iniziare a collaborare con la squadra di Moro sperando in uno sconto di pena.
Fra le accuse che ha rivolto a Lula c’è quella di aver pagato 200 milioni di reais (circa 45 milioni di euro) a Marcos Valério, un pubblicitario condannato nel 2005 per lo scandalo del Mensalao, legato alla compravendita di voti in Parlamento e a finanziamenti illegali alle campagne elettorali. Ha anche accusato Dilma Rousseff di essersi pagata la campagna per le presidenziali 2010 con i proventi di un giro di sale Bingo clandestine, e José Carlos Bumlai, il miglior amico dell’ex presidente, di essere l’eminenza grigia dietro la Fondazione che porta il suo nome.
I fatti degli ultimi giorni allungano l’elenco di controversie che accompagnano la carriera di Lula. Operaio, sindacalista, tra i fondatori del PT negli anni della democratizzazione, è stato incensato da Barack Obama, che lo ha definito “il miglior politico al mondo”, ma anche un alleato del Venezuela di Hugo Chávez e dell’Argentina di Néstor Kirchner, e ha firmato il veto sull’estradizione di Cesare Battisti, il criminale convertito al brigatismo condannato a quattro ergastoli in Italia.
Il Brasile che ha guidato dal 2002 al 2010 era la potenza industriale rampante, con il PIL che cresceva del 7% l’anno, ma anche quello che abbatteva la foresta vergine e deportava i nativi. Era lo Stato che ha vinto l’organizzazione dei mondiali di calcio 2014 – e dei giochi olimpici in programma a Rio la prossima estate – ma poi ha fatto i conti con strade e piazze invase dai dimostranti. Ed è lo Stato che a pochi mesi dall’accensione del braciere olimpico si ritrova la presidente sub iudice e al minimo storico di consensi, con lo spettro del virus Zika a evocare scenari che sembravano appartenere ai secoli passati.
F.M.R.
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