Brasile nel caos, Olimpiadi a rischio

A meno di tre mesi dai giochi olimpici di Rio de Janeiro, sul Brasile si allunga l’ombra del caos politico e sociale.

A lanciare l’ultimo allarme è stato l’ex calciatore Rivaldo, ex Barcellona e Milan, campione del mondo nel 2002. “Qui sarete in pericolo di vita”, avverte dal suo profilo Instagram: chi pensa di andare in Brasile farebbero meglio a “restare nel proprio paese di origine”. A corredo, la foto di una ragazza di 17 anni rimasta uccisa in una sparatoria, proprio a Rio, poche ore prima.

Rivaldo punta il dito anche contro gli ospedali pubblici e il caos in cui è precipitata la politica nazionale. Le sue esternazioni sicuramente non fanno una buona pubblicità a Rio, la prima città sudamericana a ospitare i Giochi, al via il prossimo 3 agosto. Come si poteva prevedere, non hanno lasciato indifferente la stampa brasiliana, divisa tra chi gli dà ragione e chi gli rinfaccia di essersi trasferito a vivere negli USA.

In effetti, affermare che il Brasile abbia un problema di criminalità non è rivoluzionario: lo confermano le graduatorie dell’Ufficio ONU per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), che lo vedono terzo in Sudamerica – a sua volta il continente più violento del mondo – e sedicesimo nel mondo. Nel 2012 in Brasile si sono commessi circa 25 omicidi ogni 100 mila abitanti, il doppio dell’Afghanistan, contando anche le vittime dell’insurrezione talebana.

Quel che è nuovo è la crisi istituzionale in atto a Brasilia, che aggiunge una dimensione d’instabilità a un quadro già grave. All’appuntamento con i Giochi, il Paese rischia di presentarsi senza presidente e con i due rami del Parlamento ai ferri corti l’uno con l’altro.

L’impeachment di Dilma Rousseff, accusata di aver truccato i conti dello Stato e coinvolta nella colossale inchiesta Lava Jato sulle tangenti Petrobras, sembrava aver ricevuto ieri una clamorosa battuta d’arresto. A scatenare il terremoto è stata la sospensione del presidente della Camera dei deputati, Eduardo Cunha, anche lui coinvolto a vario titolo nell’inchiesta. Esponente del Partito del movimento democratico brasiliano (PMDB), ex alleato del Partito dei Lavoratori della Rousseff e di Lula, passato poi a vestire i panni dell’accusa, Cunha è stato sospeso a tempo indeterminato dalla carica di deputato – e quindi anche dalla presidenza della Camera bassa – per ordine della Corte Suprema: avrebbe abusato della sua posizione per condizionare le indagini a suo favore. La Rousseff ha commentato la notizia con un sibillino “meglio tardi che mai”.

La guida della Camera è passata così nelle mani del vicepresidente Waldir Maranhao, un conservatore del PP (Partito progressista). Il suo primo atto da reggente ha sorpreso tutti: bloccare l’impeachment della Rousseff per un vizio di forma. La denuncia contro di lei, ha argomentato Maranhao, riguardava solo le eventuali irregolarità nei conti dello Stato. Ma lo scorso 18 aprile, nel provvedimento con cui ha approvato (a grande maggioranza) l’apertura del procedimento, la Camera ha citato anche il suo possibile coinvolgimento nella Tangentopoli brasiliana. Così facendo sarebbe andata oltre le sue competenze, per cui il vicepresidente reggente ha annullato d’ufficio il voto.

La sua mossa ha scatenato le ire del presidente del Senato federale, Renan Calheiros, anche lui del PMDB. Sfidando il protocollo istituzionale, Calheiros ha dichiarato che la Camera alta avrebbe votato ugualmente sull’impeachment, ignorando il decreto di annullamento. E Maranhao, per evitare la crisi istituzionale, ha dovuto fare marcia indietro.

L’ordinamento brasiliano prescrive nel dettaglio il procedimento di messa in stato d’accusa del capo di Stato. La denuncia presentata dal Supremo Tribunale Federale dev’essere approvata dalla Camera, poi da una Commissione speciale istituita ad hoc presso il Senato, infine da due terzi dei senatori riuniti in seduta plenaria (54 su 81). A quel punto il presidente – in questo caso A Presidenta, com’è soprannominata Dilma Rousseff, unico capo di Stato donna nella storia brasiliana – viene sospeso per sei mesi, tempo nel quale si svolge il processo vero e proprio. Nel caso in questione, la Commissione speciale ha approvato la mozione lo scorso 5 maggio, con 11 voti a favore e 5 contrari. Il voto in Senato era in programma per oggi, ma la mossa a sorpresa di Maranhao l’ha fatto slittare al pomeriggio – quando in Italia sarà sera – e con ogni probabilità non finirà prima di domani.

Nel frattempo per le strade brasiliane si sono ripetute le scene già viste nei mesi scorsi: manifestazioni e contromanifestazioni di favorevoli e contrari alla Rousseff, a Lula e a tutto l’impianto politico e sindacale che li vede come punti di riferimento. Ma è andato in scena anche un altro spettacolo: il ministero del Lavoro ha mandato i suoi ispettori a bloccare alcuni cantieri aperti nel villaggio olimpico. “Abbiamo riscontrato una serie di irregolarità”, spiega il Soprintendente regionale Robson Leite, “come la mancanza di attrezzature e protezioni individuali, lavoratori esposti a condizioni di estremo pericolo e senza contratto”.

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