Per il ministro Angelino Alfano sono “ambasciatori del nostro successo e del nostro talento”. In occasione della consegna dei premi sull’innovazione, assegnati dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, l’ex titolare della Giustizia ha sostenuto che “i nostri talenti all’estero non sono cervelli espatriati ma italiani che hanno la testa e il cuore, sebbene non i piedi, in Italia. Sono nostri ambasciatori che danno una mano anche nell’attivare canali di dialogo”.
Ma quanti sono questi ‘cervelli’ che hanno scelto, per forza o per piacere, di varcare gli italici confini? 4,8 milioni gli italiani che vivono all’estero alla data del primo gennaio 2016. Un vero boom se si pensa che alla data del primo gennaio 2006 risultavano essere 3,1 milioni e che l’aumento quindi si attesta intorno al 54,9%.
L’identikit delle persone che hanno lasciato il Bel Paese portando con sé la speranza che qui non c’era non ha sesso (uomini e donne sono quasi fifty-fifty), non ha età (la distribuzione è omogenea tra le quattro fasce), ed è difficile da individuare per tipologia di famiglia (single, in coppia, con o senza figli non fa differenza). L’unica caratteristica distintiva è il titolo di studio: chi ha deciso di uscire dai confini nazionali, in 9 casi su 10, è munito di una laurea. Ecco il profilo dell’Italiano emigrato ottenuto incrociando i dati Istat, Censis e Aire,che sono stati elaborati dall’Adnkronos.
Riteniamo sia difficile dimenticare le dichiarazioni del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, a proposito proprio della fuga di cervelli all’estero. Mancava qualche giorno a Natale quando il ministro, a Fano, commentò con i giornalisti: “Centomila giovani se ne sono andati dall’Italia? Non è che qui sono rimasti 60 milioni di pistola. Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Questa sua infelice esternazione ha portato l’assemblea di palazzo Madama a chiedere un’informativa. Dall’identikit disegnato dal Censis nell’ultimo rapporto è emerso che nella valigia, gli italiani che vanno all’estero, mettono quasi sempre un titolo di studio universitario: nell’89,5% dei casi ha una ‘laurea e oltre’. Inoltre la maggior parte riesce a farne buon uso. Infatti l’89% ritiene il tipo di contratto di lavoro adeguato al titolo di studio mentre, cosa non da poco, il tipo di impiego svolto, nel 72,2% dei casi, è permanente.
Secondo i dati dell’Anagrafe italiani residente all’estero, aggiornati al primo gennaio 2016, gli iscritti all’Aire sono 4.811.163, pari al 7,9% della popolazione residente in Italia. Oltre la metà degli emigrati, pari a 2,5 milioni, risiede in Europa (53,8%), mentre più di 1,9 milioni vive in America (40,6%). La provenienza dei migranti made in Italy, nella metà dei casi (50,3%), è dal Mezzogiorno.
Esaminando i dati Istat sull’evoluzione degli espatri nel periodo 2005-2014 emerge che si è passati da 41.991 unità a 88.859 unità, con un incremento del 111,6%. Nello stesso periodo i rimpatri sono diminuiti del 21,6% passando da 37.326 del 2005 a 29.271 del 2014. Il saldo, cioè la differenza tra chi parte e chi torna, era negativo per 4.665 unità nel 2004 ed è arrivato a -59.588 unità nel 2014, con un incremento del 1.177,3%. Analizzando i dati raccolti, la conclusione è che l’incremento degli italiani emigrati non è dato solo dall’aumento delle persone che partono, ma anche dalla riduzione di quelle che tornano.
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