La riapertura dell’ambasciata italiana a Tripoli, il 9 gennaio scorso, aveva illuso qualcuno che il peggio fosse passato. Tanto più che il ministro dell’Interno Marco Minniti aveva approfittato della visita in Libia per incontrare il presidente del Consiglio di presidenza, Fayez al-Sarraj, e discutere insieme di come combattere i problemi comuni a Italia e Libia: protezione dei confini, contrabbando, traffico di esseri umani. Come a voler dire, a voce alta e a parole chiare, che Roma – e quindi la UE – riconosce il governo di accordo nazionale come legittimo rappresentante della Libia. Un’affermazione tanto più potente in quanto la delegazione italiana si è appena accreditata al Consiglio di Sicurezza ONU, dove siederà fino alla fine dell’anno, in un’inedita staffetta con i Paesi Bassi.
E invece, ieri, l’annuncio dell’ex premier di Tripoli Khalifa Ghweil ha riportato la situazione nel caos. Miliziani rimasti fedeli a lui avrebbero preso possesso di tre ministeri strategici, quelli della Difesa, dell’Economia e della Giustizia. Per la precisione, i suoi uomini avrebbero provato a entrare con la forza nei tre palazzi, venendo infine respinti: a fine serata non avevano conquistato né perso niente.
Ma per capire i fatti di ieri occorre fare un passo indietro almeno fino a ottobre scorso, quando Ghweil e i suoi fedelissimi si sono barricati nella sala congressi dell’hotel Rixos, sede – almeno formale – del Consiglio di Stato, una delle due camere in cui si articola il parlamento libico secondo la nuova costituzione. Sarraj decise di lasciar correre, e spiegò di non voler riaccendere la miccia della guerra civile a Tripoli.
Non voleva o non poteva? Difficile rispondere: non c’è accordo su quanto sia stretto ed efficace il controllo del governo di unità nazionale sulla capitale, anche perché la risposta varia enormemente secondo la fonte alla quale si fa la domanda. Ma le ultime iniziative temerarie di Ghweil suggeriscono la seconda.
Stavolta, invece, il GNA ha incaricato le forze armate che gli sono fedeli di ristabilire l’ordine e contrastare i miliziani vicini all’ex premier. La decisione è stata presa in una riunione del Consiglio di presidenza diretta dal vicepresidente Ahmed Maetig, Intanto, secondo quanto scrive il portale d’informazione Libya Herald, la brigata dei Rivoluzionari di Tripoli – una delle milizie più potenti in città, guidata da Haitham al-Tajouri e nemica degli islamisti – avrebbe indetto indipendentemente lo stato d’emergenza.
Il nuovo ambasciatore italiano, Giuseppe Perrone, si è sbrigato a gettare acqua sul fuoco. “Non mi risulta alcun golpe in atto”, ha detto: “le sedi istituzionali nelle quali opera il governo di accordo nazionale sotto la guida di Sarraj continuano a lavorare”. Ma la situazione di sicurezza a Tripoli resta “complessa”: ieri, secondo Il Foglio e il sito d’informazione libico al Marsad, il direttore dell’agenzia italiana di intelligence all’estero (AISE), Alberto Manenti, e il generale Paolo Serra, che lavora nella missione ONU di assistenza al governo Sarraj, sarebbero stati evacuati da Tripoli in fretta e furia. Ma Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, ha definito “inattendibile” la fonte del Foglio: “A me risulta, inoltre, che ieri, in Libia, non c’era il capo della nostra intelligence estera”.
Tutto questo anche perché “le sedi del governo consegnate al governo di accordo nazionale sono tutte tranne che quelle indicate da queste notizie”. In altre parole, le sedi nominali dei ministeri sono ben distinte dai luoghi dove lavora il governo riconosciuto dalla comunità internazionale. E in questa distanza agiscono le forze che hanno consentito a Ghweil di mettere in atto un colpo di mano che è metà bluff e metà azione dimostrativa.
Queste operazioni, continua Perrone, sono condotte “più che altro per segnalare l’esistenza in vita di alcuni gruppi”. Come se la loro stessa esistenza non fosse ogni giorno una notizia ferale per il GNA. Ghweil non ha preso il potere, ma si può permettere di contestare la legittimità di quel governo per cui l’ONU si è spesa tanto e le cancellerie occidentali hanno versato fiumi d’inchiostro, e di restare impunito.
L’alternativa sarebbe tornare dallo stallo di oggi a una lotta senza quartiere fra gli armigeri di Sarraj – le milizie di Misurata: potenti sì, ma tutt’altro che egemoni nella capitale – e quelli di Ghweil, sostenitori dell’ex governo di tendenza islamista e che oggi il GNA bolla in massa come jihadisti. Oltretutto, nel frattempo Sarraj deve anche fare i conti con il ritorno di un altro protagonista dell’anarchia libica: il generale Khalifa Haftar, capo dell’Esercito nazionale libico, una coalizione di milizie che ormai controllano metà del paese, compresi i vasti campi petroliferi della Cirenaica. Ex-gheddafiano, ex-fuoriuscito sotto l’egida della CIA, oggi Haftar è il cavallo su cui puntano Mosca e Il Cairo. La settimana scorsa i suoi aerei hanno bombardato la base aerea di al-Jufra, controllata da uomini del GNA, e sostengono di aver colpito un C-130 carico di armi e munizioni per i miliziani di Misurata. Oggi, invece, Haftar è stato ospite della portaerei russa Ammiraglio Kuznetsov, dove ha detto la sua sulla “lotta ai terroristi in Medio Oriente”. Dall’altro capo della videoconferenza c’era il ministro della Difesa russo, Sergej Shoigu. Dal Cremlino fanno sapere di avergli consegnato un carico di materiale sanitario “per i militari e i civili libici”, e che poi la portaerei è ripartita per Severomorsk, sul mare di Barents, per ricongiungersi alla flotta del Nord.
Oltremare, tutta quest’attività preoccupa soprattutto l’Italia, per ovvi motivi geografici. E così ieri – secondo quanto scrive Francesco Grignetti su La Stampa – la Farnesina ha provato a chiamare le cancellerie amiche. Si cercava sostegno, si è trovato pochissimo. A cominciare da Washington: “Alla nuova amministrazione non interessa nulla della Libia”, rivela una fonte. Donald Trump non si giocherà il “rispetto” di Vladimir Putin su una questione così distante. Fredde anche le reazioni di Francia, Germania e Gran Bretagna, bilanciate, sempre secondo Grignetti, da un “grande interesse” della Russia, “forse la novità che ci spaventa di più”. L’unico partner europeo che si è speso a favore di Sarraj e della stabilizzazione della Libia è Malta, geograficamente nelle stesse condizioni dell’Italia.
“Si spiegano così – conclude Grignetti – anche le uscite contro l’Italia da parte degli antagonisti di questo governo”. Giorni fa, Ghweil si è scagliato contro la missione Ippocrate, il poco pubblicizzato ospedale da campo gestito dall’Italia a Misurata. E oggi è arrivato il controcanto di Abdullah al-Thani, capo del deposto governo di Tobruk, che ha paragonato la riapertura dell’ambasciata a Tripoli a una “nuova occupazione”, condannando l’ingresso in acque territoriali libiche di “una nave militare italiana carica di soldati e munizioni”. Diversi commentatori politici hanno segnalato il tono “ostile” della sua nota diplomatica e hanno notato che Thani non ha condannato nello stesso modo la missione della portaerei russa.
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