Da “Avvocato degli italiani” a premier di “un governo di novità”. Da premier favorevole a svolte radicali, a politico che non agirà “mai più contro”. Da uomo espressione di un voto sovranista e populista in funzione anti Ue, a ostaggio di una maggioranza confusa arruffona e assetata di potere e poltrone.
Dall’antisistema alla collaborazione più ortodossa, destinata a rilanciare le peggiori esperienze del centrosinistra targato Napolitano, Pd, Banche, banchieri e faccendieri, magistratura corrotta e politicizzata, Bce che guarda oltreoceano e Ue a guida socialista-popolare, immigrazione fuori controllo, tasse, disagio sociale, controllo canaglia dell’informazione, Fornero e perdita di ogni speranza per il futuro. Con tanto di ola (“gli auguro di durare più di me…”) da chi, guasti e danni al Paese ne ha fatti veramente tanti: Romano Prodi, il padre dell’Ulivo e del processo di adesione dell’Italia all’euro a guida tedesca.
Torna la Prima Repubblica? La domanda non è poi cosi peregrina. Proviamo a dare qualche risposta.
Da Giuseppe Conte, alla sua seconda esperienza di capo del governo incaricato, ci si poteva aspettare qualcosina di più. Intanto un po’ più di coerenza e soprattutto dignità. Ma questo forse è chiedere troppo. La battuta di “avvocato degli italiani” l’avevamo capita e apprezzata. In fondo lui voleva un dialogo diretto con un Paese stretto tra immobilismo e ingiustizie, e con un mondo della politica lontano dall’uomo della strada e dalle sue aspettative.
Un legale ti difende, avevamo pensato e questo proposito rassicurava e lasciava presagire qualcosa di buono. Il fatto poi di agire e trattare con tanto di programma sottoscritto aveva esaltato sia le prospettive dell’esecutivo Lega-M5s, sia le sue doti di mediatore e di buon notaio di procedure politiche non sempre chiare.
Ma visti i presupposti di questo nuovo esecutivo, nato tra non poche difficoltà e moltissime ambiguità, non era facile presentarsi al Paese con il professor Conte ancora impegnato a togliersi la casacca gialloverde per indossare quella giallorossa del duo Di Maio-Zingaretti.
Cosi il neopremier incaricato ha preferito scegliere una parola d’ordine un po’ anodina, presa in prestito dal lessico della vecchia Democrazia Cristiana, una parola passepartout: “novità”. Una parola chiave che va bene per tutte le circostanze. Una parola che dice tutto e niente al tempo stesso, ma soprattutto una parola che non taglia fuori niente e nessuno.
Insistiamo: torna la vecchia, cara, Prima Repubblica? I Cinquestelle sono in stato confusionale e mentre l’arbitro conta i secondi, il Pd, con un tempismo micidiale ed una faccia di bronzo che nemmeno l’arrogante Dc dei tempi d’oro aveva avuto mai il coraggio di sfoderare, ha materializzato il glorioso “Manuale Cencelli”. Tanto a voi, tanto a noi. Poco, ma meglio nulla, agli altri. In questa che nasce come un’ammucchiata asfittica, il bilancino del potere non sbaglia mai.
Ed eccoci scaraventati all’improvviso di fronte ad uno scenario che non meritavamo. Ad un’Italia stordita e sconcertata dalla stupidità tattico strategica di un Salvini in fase di autoesaltazione, ha fatto da contraltare l’incapacità di un Luigi Di Maio che non ha saputo mantenere i nervi saldi per governare una crisi al buio, che ha avuto come unico merito, incontrovertibile, non quello di portare gli italiani alle urne, ma quello di rimettere in pista un Pd alla canna del gas.
Dopo nove anni di pratiche antidemocratiche espletate da Giorgio Napolitano, in aperta violazione del dettato costituzionale, determinato a non rispettare il libero voto dell’ elettorato, e dopo vari governi “tecnici” e di scopo inaugurati da Monti e terminati con il disastro di Gentiloni, passando per Letta e Renzi, all’Italia ora si impone un nuovo governo “di cambiamento e di novità”.
Per il primo qualcosa è stato fatto ed è sotto gli occhi di tutti. Si chiama ribaltone e porta con sè inevitabilmente i germi dell’autodistruzione. Per le novità vedremo cosa ci proporrà il presidente Conte, ammesso e non concesso che nel tentativo di far quadrare il cerchio riesca a formare una maggioranza degna di questo nome.
Folle comunque chi pensa che questo possa essere l’esecutivo di legislatura che porterà, nel 2023, alla elezione del successore di Mattarella. Molte cose si capiranno già nelle prossime ore quando attraverso la nomina dei ministri potremo valutare l’effettiva forza e possibilità di sopravvivenza di questo che al momento resta un governo ombra a tutti gli effetti.
Enzo Cirillo
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