Dopo Mosul, Raqqa. Ieri le milizie curde siriane hanno annunciato l’inizio della campagna per conquistare la città, centro delle operazioni dell’ISIS in Siria, alla stregua di una capitale dello “stato” jihadista.
L’annuncio, trasmesso dalla tv panaraba al-Jazeera, è stato affidato alla portavoce Jihan Sheikh Ahmad, una donna, affiancata da altri sei ufficiali. La conferenza stampa si è tenuta ad Ain Issa, a metà strada fra Raqqa e Kobane, la città che dopo essere stata liberata dall’assedio dell’ISIS è divenuta simbolo della lotta dei curdi contro i jihadisti e punto di partenza della controffensiva che li ha portati a controllare gran parte del territorio siriano ai confini con la Turchia.
La campagna, battezzata Ira dell’Eufrate, è condotta dalle Forze democratiche siriane (SDF): una coalizione di trentamila miliziani di formazioni “arabe, curde e turcomanne”, che ha già riportato vittorie sui jihadisti a Manbij e nella zona di al-Hasaka. A fare la parte del leone – sia sul campo che dal punto di vista ideologico – sono le YPG (“Unità di protezione popolare”), le milizie dei curdi siriani, e il loro ramo femminile, le YPJ. Obiettivo dichiarato: liberare Raqqa dalle “forze del terrorismo globale oscurantista”.
La campagna era stata annunciata nelle scorse settimane da Ash Carter, il segretario per la Difesa USA. Stephen Townsend, comandante della coalizione internazionale anti-ISIS, aveva anticipato che le operazioni sarebbero state condotte dalle SDF con l’assistenza del Pentagono. Brett McGurk, l’inviato speciale USA per la lotta all’ISIS, ha confermato l’inizio delle operazioni in una conferenza stampa convocata ieri ad Amman, in Giordania. McGurk ha specificato che le manovre di terra si svolgono con l’assistenza dell’aviazione americana e che il comando USA sta valutando la situazione “congiuntamente con la Turchia”. Ankara, infatti, considera le YPG/YPJ come formazioni terroristiche, e negli ultimi giorni il presidente Recep Tayyip Erdogan non ha perso occasione per ricordarlo. Sicuramente, almeno in spirito, sono vicine al PKK, il partito armato dei curdi di Turchia, che nei confini di quel Paese ha compiuto attentati contro la polizia e l’esercito regolare. I miliziani del Rojava – il “Kurdistan occidentale”, ossia quello compreso nei confini siriani: quello turco è il Kurdistan settentrionale, quello iracheno il meridionale, quello iraniano l’orientale – sono malvisti anche dai cugini iracheni, che invece sono fedeli alleati di Washington dai tempi delle guerre contro il regime di Saddam Hussein.
Intanto a Mosul, in Iraq, le forze alleate al governo iracheno avanzano con i piedi di piombo. Da martedì scorso le forze speciali dell’esercito di Baghdad stanno combattendo nei quartieri della periferia est. Secondo quanto ha raccontato il tenente colonnello Muhammad al-Timimi, la presenza di civili nell’area e le elaborate difese che i jihadisti hanno avuto tempo di disporre impongono la massima circospezione.
Sul fronte sud, invece, le forze lealiste sono impegnate in una dura battaglia nella località di Hammam Alil, a poco più di venti chilometri dal centro di Mosul. Secondo l’ONU, la popolazione della cittadina è quasi triplicata nelle ultime settimane, da 23 mila a circa 60 mila persone. Non è certo un buon segno: i jihadisti hanno iniziato a trasferirvi gli abitanti di altre zone per usarli come scudi umani.
Hammam Alil è in posizione strategica sulla via per l’aeroporto di Mosul, e l’ISIS, se sarà costretta a cederla, si impegnerà a rendere costosa e dolorosa la conquista. Foto satellitari pubblicate da Stratfor, scattate lo scorso 31 ottobre, mostrano un complesso sistema di trincee e barriere erette lungo la strada che porta all’aeroporto. Lungo le strade, i jihadisti hanno allestito barricate improvvisate con cumuli di macerie.
L’ISIS continua a ordire attentati dietro le linee per distrarre gli eserciti nemici. Ieri almeno 18 persone sono morte a causa di due bombe, esplose al passaggio di un convoglio di famiglie in fuga dalle zone ancora in mano ai jihadisti. Delle vittime, 17 erano profughi; è morto anche uno degli agenti di polizia che li stavano scortando al sicuro.
Di Mosul ha parlato anche il premier Matteo Renzi dalla Leopolda, definendola una “battaglia di cui non parla nessuno”. “Ci sono anche i nostri uomini lì”, ha detto il presidente del Consiglio. Si riferisce al contingente di 450 soldati inviati a proteggere la diga sul Tigri, poco a valle della città, ma anche alle imprese italiane che si stanno occupando di riparare i danni alla struttura provocati dall’incuria e dalle battaglie. “Quando ci sono queste sfide qui – ha detto Renzi – la politica è qualcosa di più grande del dire soltanto ‘no’ all’avversario”.
F.M.R.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy