Parlare di violenza e delle donne che la subiscono è come entrare in un campo minato: prendere l’angolazione giusta ed equilibrata del problema non è semplice. Tutt’altro. Resta la gravità del fenomeno e le sue ricadute in termini umani, affettivi, sociali. Si tratta di tante tragedie, spesso annunciate che portano ad un unico, grande e poco gestibile dramma collettivo, purtroppo in costante ascesa sia in termini di numero delle vittime che di intensità e forza del fenomeno.
Come affrontare questa autentica emergenza sociale prima ancora che giudiziaria? Negli ultimi anni qualcosa si è fatto e qualcosa continua ad essere fatto per quanto riguarda il monitoraggio che le istituzioni fanno del fenomeno. Ma questo non basta. La reiterazione e spesso la crescita esponenziale dei rischi che corrono migliaia di donne sottoposte a violenze, stalking, minacce e indebite e criminali pressioni psicologiche da parte dei maschi violenti non ha trovato, ad oggi, coerenti strategie di contenimento da parte del legislatore della magistratura e delle forze dell’ordine confermando ancora una volta che è tanta la strada da percorrere per ridurre al lumicino la deriva della violenza fisica e psicologica contro le donne.
Analizzare il fenomeno della violenza di genere significa tracciare il profilo delle vittime, offrire sostegno materiale e aiuto psicologico, cercare di capire cosa le ha portate ad unirsi ad uomo violento e, cosa che avviene in moltissimi casi, a restarci insieme e decretare la propria condanna a morte. Ma a volte tutto questo rischia di grattare solo la superficie di una piaga così dolorosa e complessa come quella del maltrattamento femminile. Non basta dire alla donna: non è colpa tua. Certo che la colpa non è di chi prende lo schiaffo, la colpa è di chi si abbandona alla violenza.
Ma un fenomeno di simile portata deve essere visto anche dal punto di vista sociologico. Solo in Italia oltre 100 donne sono vittime di femminicidio ogni anno: abbiamo bisogno di capire cosa passa nella testa di chi commette atti di violenza. Si tratta di capire ed estirpare i meccanismi devianti alla base di quei comportamenti. L’importante è far emergere quei “segnali” che devono convincere la donna a fiutare il pericolo ed allontanarsi prima di farsi trascinare nella spirale di violenza.
Nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, abbiamo deciso di parlare con Andrea Bernetti, psicologo e responsabile della sede romana del CAM – il primo centro italiano di Ascolto per Uomini maltrattanti che dal 2009 si occupa di soggetti autori di violenza.
In questo percorso, ci spiega Bernetti, l’Italia è in ritardo di ben trent’anni: “il CAM nasce nel 2009 a Firenze ma in Spagna e in Nord Europa in America esistevano già dagli anni ‘80 esperienze di questo tipo. Nel momento in cui è nato non esisteva nessuna legge che andasse ad includere il lavoro sugli uomini che commettono violenza nella lista degli interventi necessari ad estirparla. Basti pensare che la prima legge in tal senso è quello sul Femminicidio del 2014”.
Per quanto riguarda i numeri, “nel Centro di Firenze arrivano circa 50 uomini ogni anno”, mentre nel CAM di Roma, aperto solo dall’anno scorso, “vi è un ritmo di 2 uomini a settimana”.
“È un’evoluzione importante soprattutto perché – sottolinea Bernetti – si tratta di arrivi spontanei, non coatti. SI tratta di uomini che non sono obbligati da un giudice o da una sentenza ad iniziare un percorso su se stessi. È una loro iniziativa”.
Ma esiste un profilo tipo dell’uomo che bussa alla porta del centro? “Se parliamo dal punto di vista squisitamente sociologico no: il germe della violenza si può annidare in chiunque, a prescindere dalla professione, dalla cultura o dal ceto sociale. Dal punto di vista psicologico invece, possiamo rilevare alcune costanti. Il meccanismo fondante alla base di ogni episodio di violenza è la trasformazione della donna in un oggetto funzionale alla conferma della propria identità di uomo da parte del marito, fidanzato o compagno che sia”.
In altre parole la donna deve coincidere in tutto e per tutto con l’idea che quell’uomo si è fatto di lei. Guai quindi a cambiare qualcosa. “Nel momento in cui avviene un cambiamento da parte della donna, una piccola acquisizione di soggettività, questo tipo di uomo lo vive come un vero e proprio tradimento che, nella sua mente, legittima il comportamento violento” continua Bernetti.
“Un uomo torna dal lavoro e trova la donna che non lo aspetta per cena; una fidanzata che ha un altro impegno; un qualsiasi cambiamento di piano può rappresentare il punto di rottura e generare lo scoppio della violenza”.
Uno Scoppio che però, sottolinea Bernetti, non è una vera esplosione, nel senso che non avviene mai “all’improvviso”. “Può sembrare strano, ma i segnali che possono presagire atteggiamenti violenti sono gli stessi segnali tipici dell’innamoramento, solo portati all’esasperazione: la volontà di passare sempre più tempo insieme, l’eccessiva presenza, il pensiero continuo su di lei, le sorprese a casa, sul posto di lavoro, a scuola, regali, fiori”. Tutta questa “grande invadenza” all’inizio può affascinare perché l’altra persona si sente la persona più importante del mondo e ne è poi attratta”.
Ma c’è un prezzo da pagare. “L’aspetto problematico è infatti che questo uomo mette la donna così al centro della sua vita che nel momento in cui lei tenta di smarcarsi da questa centralità diventa una traditrice. La centralità della donna è in qualche modo funzionale al benessere dell’uomo con cui sta. E qualsiasi esitazione o cambiamento che in qualche modo coincide con un’affermazione della donna (avere un figlio, concentrarsi di più sul lavoro, su qualcosa che è altro dalla coppia) diventa un problema enorme”.
Quindi la rabbia che sfocia nella violenza non è un’esplosione ma piuttosto lo specchio di questa centralità che nella mente dell’uomo non ammette cambiamenti o aperture a spazi individuali. Alla base vi è la stessa spinta che “portava l’uomo a fare alla donna un regalo al giorno”.
Ed ecco che il cambiamento di assetto della relazione rompe un equilibrio e l’uomo si sente delegittimato e tradito da una donna che improvvisamente, nella sua mente, non è più sua complice, non è più dalla sua parte. Ma come far fronte a tutto questo?
Come funziona il CAM: la valutazione del rischio e la comprensione del caso. “Il lavoro del centro si compone di due fasi. Nella prima vi sono una serie di incontri iniziali di tipo individuale in cui cerchiamo di capire la storia dell’uomo e calcolare il fattore di rischio, rispetto alla donna o anche ad eventuali figli [valutazione del rischio e comprensione del caso n.d.r]. Dopodiché avviene il contatto della partner, con il permesso della donna, che viene chiamata da una collaboratrice del centro ovviamente con esperienza e competenza professionale in questo ambito.
Le sedute di gruppo. “Il secondo step – continua Bernetti – è un lavoro di gruppo in cui gli uomini si siedono e si confrontano attraverso degli incontri su temi specifici. Qui possono ripensare la loro storia, il loro modo di vedere la relazione. Gli incontri permettono loro anche di monitorarsi rispetto alla violenza”, di registrare progressi e marce indietro.
Ma alla fine, questo tipo di approccio funziona oppure no? “Iniziare il percorso è sicuramente la parte più difficile non solo perché necessita, come è ovvio, di una forza di volontà ma perché significa accettare che qualcosa non va. Gli uomini che arrivano al centro ci arrivano giustificandosi, minimizzando, allontanando le responsabilità. Il primo obiettivo per noi è dunque quello di metterli davanti a se stessi e spingerli a lavorare sulla propria persona. Ma una volta iniziato, difficilmente si verificano ulteriori episodi di violenza. Nel momento in cui il percorso è nella sua fase attiva, la percentuale di remissione della violenza è altissima.
“L’obiettivo per il futuro è di far sì che questo “spazio” di riflessione su di sé non s’interrompa – conclude Bernetti – Magari in gruppi di incontro meno ravvicinati “una volta al mese” ma costanti. Se questo percorso non viene interrotto, può significare – oltre che una liberazione dalla violenza da parte della donna – un nuovo inizio per l’uomo e un nuovo modo per lui di affrontare il rapporto successivo. Un’occasione per ripensarsi” quindi. E forse, aggiungiamo noi, un pericolo in meno per le donne che incontrerà sulla sua strada.
Laurea magistrale in Storia contemporanea presso L'Università degli studi Roma tre. Master di primo livello I mestieri dell’Editoria, istituito da “Laboratorio Gutenberg” di Roma con il patrocinio del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale presso “Università Sapienza di Roma”. Dopo la laurea ho svolto uno stage presso Radio Vaticana, dove ho potuto sperimentare gli infiniti linguaggi della comunicazione.
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